Circolo Partito Democratico - Capistrello (Aq)

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mercoledì 30 settembre 2009

L'economia tra zona franca e fondi europei



* di Luigi Lusi
(in foto)

Non passa giorno che in Abruzzo non si parli di terremoto e di crisi aziendali: Sevel, Micron, Oliit, Magneti Marelli, Transcom e molte altre. Drammatica la situazione italiana: -1,6% gli occupati, -18,2% la produzione industriale, -3% gli investimenti, -24,2% l’export delle Regioni; un quadro da brivido. Ancora più drammatica la situazione abruzzese. L’ultimo rapporto di Bankitalia per l’Abruzzo (giugno 2009) registra un bollettino di guerra: 60% delle aziende abruzzesi in sofferenza, fatturato contratto in media del 14%, riduzione della produzione manifatturiere del 10%. La crisi abruzzese ha le stesse cause della crisi globale, ma con alcune aggravanti: terremoto, difficoltà dell’export dei settori dei mezzi di trasporto e del tessile, forte concorrenza della Cina.
La totalità degli indicatori congiunturali abruzzesi segna dunque risultati decisamente negativi. La continua chiusura delle aziende, la conseguente disoccupazione, l’aumento esponenziale dell’utilizzo della Cig, un apparato industriale debole e la conseguente ridotta competitività, uniti al calo dell’export hanno reso l’Abruzzo più esposto alla crisi mondiale. Queste difficoltà hanno colpito anche le imprese più strutturate che nel passato avevano garantito la tenuta dei livelli industriali ed occupazionali della regione. La situazione diventa ancora più grave se ci si concentra sulla provincia dell’Aquila colpita dall’implosione demografica e settoriale e dall’esaurimento del modello di sviluppo esogeno. Il sisma ha ulteriormente peggiorato la situazione provocando, tra gli altri, uno shock economico legato a 4 tipologie di danni: diretti (per la distruzione del capitale), indiretti (per la sospensione del ciclo degli affari), indotti (per costi di stock e di flusso che hanno un impatto aggregato sull’intera economia), psicologici (perdita di identità per alcune categorie di popolazione). Di fronte a questo scenario, poniamoci un interrogativo siloniano: «Che fare?». La via principale per uscire dalla crisi sta nella tenuta dei consumi e del mercato del lavoro, così da
garantire capacità di spesa anche in presenza di una crescita della disoccupazione. I comportamenti degli individui, delle imprese e dei consumatori da un lato, e delle politiche economiche che nei prossimi mesi verranno adottate dall’altro, saranno le condizioni per il superamento della crisi. La drammatica situazione dei territori dell’Aquilano impone di passare subito a un’economia del terremoto, possibile solo se le imprese locali riusciranno a svolgere un ruolo chiave nella ricostruzione. Requisiti essenziali: sistema finanziario efficiente, azione condivisa, snellezza burocratica, efficienza operativa, trasparenza. L’economia dell’Aquila è a un bivio: con la Zona franca urbana (Zfu) potrà migliorare il futuro solo se le risorse finanziarie assegnate dal governo saranno aumentate rispetto alle briciole attuali (45 milioni di euro totali, e non per anno, dal 2009 al 2012); se ciò non accadesse L’Aquila diventerà una città morta, e con essa i Comuni contigui, senza alcuna possibilità di ripartire.
Urge utilizzare al più presto: gli 83 milioni dei fondi Por Fers destinati ai territori del cratere, le risorse aggiuntive della misura 87.2B, specifica per i territori colpiti dalle calamità naturali, da utilizzare con celerità e oculatezza evitando gli errori del passato, e riaprire la misura 87.3C per le aree fuori dal cratere. S’impone la costruzione di un progetto economico nuovo, liberato da ogni cultura assistenzialistica che punti sulle tante risorse esistenti, si rivolga alle fasce più innovative e moderne della società, sviluppi il sistema della formazione come investimento strategico integrato tra formazione professionale, scuole, università, centri di ricerca e strutture di eccellenza.
In Abruzzo da tempo si investe poco. Eppure vi sono settori produttivi ad alta vocazione territoriale come l’Ict (Information comunication technology) e il Farmaceutico, strutturalmente molto legati all’università e alla ricerca, nei confronti dei quali il governo deve saper prospettare politiche contenenti pacchetti di proposte attrattive per le imprese.
La ripresa e il ritorno alla competitività per l’Abruzzo, allo sviluppo non solo economico ma anche sociale, è possibile solo se la legislatura regionale, con il doveroso contributo del governo nazionale (quale miglior occasione quando le due maggioranze sono omogenee politicamente per dimostrare agli abruzzesi che si lavora per loro?), si farà carico di problemi strutturali e procederà a riformare quanto di obsoleto ancora (molto) esiste e frena l’innovazione. Tali scelte devono riguardare in primis la sanità e il ridisegno dei confini economici e degli assets produttivi del nostro territorio. Rendere il territorio abruzzese, terremotato e non, competitivo e attrattivo, ricco di nuove energie e competenze culturali ed economiche. Questo è l’imperativo, per ottenere il quale, oltre a sanare le ferite brutali del terremoto, non è più rinviabile la scelta di convergere verso una prospettiva di sviluppo, scevra da attese messianiche, facendo della ricostruzione e del riordino dei conti regionali l’occasione per un nuovo Rinascimento abruzzese.

* Senatore Pd e vice presidente della commissione Bilancio
tratto da : Il Centro 29.09.09

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