Circolo Partito Democratico - Capistrello (Aq)

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sabato 31 gennaio 2009

Crisi, il Mezzogiorno soffre Tiene soprattutto il turismo


ROMA
Già sofferente per il minor grado di industrializzazione, il Mezzogiorno sta soffrendo gli effetti della crisi con il loro corollario di calo della produzione e di riduzione dell’occupazione oltre che di riduzione di vendite al dettaglio mentre tiene il turismo con l’eccezione della Sicilia e della Campania.
Questa l’analisi della Confesercenti presentata nei giorni scorsi a Napoli nell’ambito di “Pmindustria, fare impresa nel Mezzogiorno”.
Lo studio ricorda come nelle regioni del Sud (Abruzzo, Molise, Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna) le imprese manufatturiere sul totale dei settori economici sono pari al 10,7% del totale contro il 13% del Centro Nord. Di queste il 65% sono artigiane.
Sul totale delle imprese italiane, il 27,5% sono meridionali. Un quadro già debole che si è aggravato nel 2008 dove «tutte le regioni meridionali hanno conosciuto un rallentamento ciclico».
Secondo l’analisi della Confesercenti «solo in alcune regioni (Molise, Basilicata e Sardegna) le opere pubbliche sostengono gli investimenti in edilizia e infrastrutture. Nel finanziamento dell’economia regionali molti imprenditori rilevano l’inasprimento delle condizioni di accesso al credito».

tratto da: Il Centro 31.01.09

domenica 25 gennaio 2009

Federalismo e contratti due scatole vuote




Siamo ormai entrati in piena recessione economica e i nodi stanno venendo al pettine tutti insieme, ma la vera ondata di piena arriverà tra marzo e maggio come tutte le previsioni annunciano. Intanto non cessano e anzi aumentano le turbolenze provenienti dalla crisi finanziaria e bancaria. Si pensava e si sperava che questo secondo fronte si fosse placato, invece non è così. Dopo la Banca di Scozia la tempesta ha ripreso la sua virulenza sulle «majors» americane: la Bank of America, la JpMorgan-Chase, la City-Group. L' industria automobilistica dal canto suo non si regge più sulle sue gambe e interventi pubblici sono dovunque invocati e in molti paesi hanno già avuto attuazione. In questo quadro recessivo mondiale che ormai comprende anche la Cina e le altre potenze emergenti, si stagliano per quanto riguarda l' Italia alcuni problemi specifici con caratteristiche proprie ai quali il calendario politico ha impresso nei giorni scorsi una forte accelerazione: il federalismo fiscale, la riforma contrattuale, i provvedimenti anticrisi, la ricerca delle risorse necessarie per farvi fronte e gli strumenti più appropriati da usare. Di questi problemi intendo oggi occuparmi ma non voglio esimermi da un cenno preliminare che riguarda le prime iniziative del nuovo presidente degli Stati Uniti. Ha preso tempo fino a febbraio per presentare un piano anticrisi di 825 miliardi di dollari cui seguiranno - ha annunciato - altri stanziamenti con l' obiettivo di creare nuovi posti di lavoro e un consistente sostegno dei redditi falcidiati dalla crisi. Nel frattempo ha marcato con provvedimenti immediati una profonda discontinuità rispetto alla politica del suo predecessore. SEGUE A PAGINA 23 In politica estera ha messo al primo posto in agenda il tema del Medio Oriente chiamando a raccolta i protagonisti: Israele, Palestinesi, Paesi Arabi, Iran. Ha teso la mano all' Iran. Ha ribadito la lotta al terrorismo e l' importanza del fronte afgano. Ha dato inizio alla procedura per il ritiro delle truppe dall' Iraq. Fin dal primo giorno ha abolito la tortura praticata in molte carceri speciali gestite dalla Cia. In tema di diritti ha ripreso i finanziamenti per la ricerca sulle cellule staminali ricavate dagli embrioni ed ha riconosciuto alle donne la responsabilità primaria di decidere sul proprio aborto. Barack Obama è profondamente religioso ma la sua fede non gli ha impedito di iniziare una politica dei diritti profondamente laica. L' uomo di fede si raccoglie spesso in preghiera nella sua chiesa, ma il presidente degli Stati Uniti tutela i diritti fondamentali come prescrive la Costituzione del suo Paese alla quale ha giurato fedeltà. Ecco un esempio che ci viene da una grande democrazia e che ci auguriamo serva da punto di riferimento per tutti. * * * La legge sul federalismo fiscale è stata approvata in Senato con il voto compatto del centro-destra, l' astensione del centro-sinistra e il voto contrario dell' Udc di Casini. Bossi ha dato atto all' opposizione d' aver scelto un atteggiamento di saggezza che ha reso possibile un passo avanti di una riforma che la Lega ritiene essenziale. I commenti dei «media» hanno accolto con favore (e alcuni con moltissimo favore) questa novità parlamentare definendola «storica» e auspicando che possa estendersi ad altri temi sul tappeto a cominciare dalla riforma della giustizia. Si è parlato addirittura di un asse Veltroni-Bossi con ricadute importanti sul quadro politico italiano. E' stata notata una palese irritazione di Berlusconi. E' questa la realtà di quanto è accaduto? Oppure si tratta di una rappresentazione che contiene alcuni elementi di verità ed altri di falsità? Un elemento di verità riguarda i contatti tra il Partito democratico e la Lega. Sono stati frequenti e hanno dato luogo ad una riscrittura di alcune parti importanti della legge. Sulla valutazione delle differenze esistenti tra regioni povere e regioni ricche in materia di evasione fiscale, di efficienza organizzativa e di tempistica necessaria per rendere omogenei questi parametri. Sull' istituzione di una Commissione che emetta i pareri richiesti per l' emanazione dei regolamenti attuativi della legge-delega. Sulla necessità di indicare i tributi propri delle Regioni e dei Comuni. Sulla parità dei diritti riconosciuti agli utenti di pubblici servizi (sanità, giustizia, trasporti, assistenza) sulla base di identici standard in tutto il territorio nazionale. Il «modello lombardo» che inizialmente fu la posizione della Lega e di tutto il centro-destra è stato abbandonato nel corso d' una trattativa durata molti mesi i cui risultati finali sono maturati nel lavoro in commissione parlamentare e infine approvati in aula. Ma i risultati negativi non mancano e sono tutt' altro che marginali. Il primo riguarda lo squilibrio di fondo tra il Nord e il Sud, che la riforma così come è stata concepita aggraverà. Per limitare quest' aggravamento sarà inevitabile procedere con due diverse velocità. Il Nord potrà attuare la normativa via via che i regolamenti attuativi saranno emanati (con l' indispensabile accordo della conferenza Stato-Regioni); il Sud chiederà più tempo e continuerà a pesare sulla fiscalità generale. Il secondo elemento negativo riguarda la completa assenza di stime circa il costo immediato della riforma e il costo di quando sarà a regime. Il ministro Tremonti, appositamente convocato in Parlamento per dare delucidazioni in proposito, ha dichiarato che era impossibile indicare cifre: mancano studi e criteri omogenei di valutazione. In queste condizioni nessuno può azzardare un pronostico, sarebbe come giocare alla lotteria specie in una fase terremotata dell' economia mondiale. Tremonti ha indubbiamente ragione: il costo del federalismo fiscale così come è configurato nella legge-delega che è un manifesto ideologico più che una legge vera e propria, non è prevedibile. In realtà la legge-delega è uno scatolone vuoto, un indirizzo politico, non ci sono misure attuative, non esiste una carta delle autonomie locali che indichi chi fa che cosa; è aperta la questione delle provincie e delle aree metropolitane; è apertissimo il rapporto tra Regioni e Comuni; non è risolto il tema essenziale dei tributi propri. In realtà questa non doveva essere una legge-delega ma semplicemente una legge di indirizzo alla quale doveva seguire una legge-delega ancorata ad una normativa concreta che sarebbe servita al Parlamento per controllare l' aderenza dei decreti delegati alla normativa indicata. In mancanza di criteri si tratta dunque di una delega in bianco, il classico caso del budino il cui gradimento si può misurare soltanto quando sarà stato mangiato. Si può approvare una riforma di questo tipo? Che di fatto instaura una «secessione fiscale» della Padania dal resto del paese? Senza conoscerne gli effetti sulle finanze dello Stato? Ha scritto Luca Ricolfi sulla «Stampa» che la legge-delega dovrebbe almeno prevedere degli anticorpi, cioè impedire fin d' ora sconfinamenti di deriva macro-economica riportando in capo allo Stato il potere di modificare la legge quando i suoi esiti mettessero a repentaglio i parametri di stabilità nazionali e internazionali. Ricolfi ha ragione, ma questi anticorpi mancano purtroppo del tutto. Dunque la legge-delega così come è uscita dall' aula del Senato a mio avviso non può essere approvata dal centro - sinistra alla Camera se almeno quegli anticorpi non saranno inseriti. Il voto al Senato ha avuto il pregio di riconoscere i miglioramenti ottenuti e di dimostrare che il federalismo fiscale è obiettivo condiviso. Ma qui dovrebbe finire la condivisione su una delega impropria e non cifrata, priva di clausole di salvaguardia chiare e imperative. Del resto l' astensione al Senato ha valore di voto contrario. La traduzione letterale sulla base del regolamento della Camera è il voto negativo. I «nordisti» del Pd fanno bene a voler competere con la Lega ma debbono farlo su un terreno appropriato alla vocazione di un partito nazionale quale è e vuole essere il Pd. Lo slogan di trattenere sul posto le entrate e destinarle alle spese di quel posto è il mantello d' Arlecchino e non può essere una visione nazionale del bene comune. Voglio sperare che i piemontesi, i lombardi, i veneti del Partito democratico non dimentichino la storia del nostro paese e il contenuto che i loro avi dettero alla sua unità. * * * Nella stessa settimana del voto al Senato sul federalismo fiscale il governo aveva convocato le parti sociali e le Regioni per discutere le misure anticrisi. Questo e solo questo era l' ordine del giorno per il meeting a Palazzo Chigi di venerdì 23 gennaio. La discussione è durata pochi minuti. Infatti le misure anticrisi ruotavano soprattutto sul finanziamento degli ammortizzatori sociali (cioè sulla Cassa integrazione e altri analoghi istituti) che Tremonti vuole effettuare «senza oneri per il bilancio». Il solo modo per realizzare quell' obiettivo è di cercare i soldi necessari fuori dal bilancio, ma dove? Togliendoli alle Regioni e agli impieghi da esse previsti. Il «tesoretto» desiderato da Tremonti per finanziare gli ammortizzatori ammonta a 8 miliardi di euro da prelevare a carico dei fondi europei erogati alle Regioni per far fronte alla formazione dei lavoratori, che è un' altra forma di sostegno del reddito e di preparazione professionale. Le Regioni presenti al meeting di venerdì hanno obiettato al ministro dell' Economia che non avrebbero accolto le sue richieste se prima egli non avesse indicato quali erano le risorse che lo Stato metterà sul tavolo da parte sua e tutto è stato rinviato a giovedì prossimo. A questo punto Epifani si è alzato ritenendo che la riunione fosse terminata ma ha constatato con stupore che tutti gli altri rappresentanti delle parti sociali (sindacati, commercianti, banchieri, cooperative, Confindustria) restavano seduti. Ha chiesto se c' erano altre questioni da esaminare. «Visto che siamo qui tutti» ha risposto Gianni Letta «utilizziamo l' incontro per discutere la riforma contrattuale». La signora Marcegaglia a quel punto ha distribuito un documento sulla contrattazione privata e il ministro Brunetta ha distribuito un altro documento sulla contrattazione del pubblico impiego. Epifani ha chiesto 24 ore di tempo per l' esame dei due testi, preliminare alla discussione che ne sarebbe seguita. Silenzio assoluto. «Debbo dedurre che i testi non sono emendabili?», ha domandato il segretario della Cgil. Ancora silenzio. A questo punto Epifani ha preso la via dell' uscio senza che alcuno lo trattenesse. Mi spiace di non aver letto questo racconto sui giornali di ieri, eppure esso fa parte integrante dello «storico» incontro sulla riforma dei contratti ed è - diciamolo - abbastanza stupefacente. * * * Ma andiamo al merito di questa riforma che il maggior sindacato italiano non ha firmato. E' vero che essa diminuisce l' importanza del contratto nazionale e rivaluta il contratto di secondo livello agganciandolo alla produttività. Ed è vero (come ha ricordato Enrico Letta sul «Corriere della Sera» di ieri) che questa rivalutazione é suggerita dalle mutazioni dell' economia post-industriale ed era già stata proposta dal governo Prodi. Quante buone cose aveva avviato il governo Prodi, vengono fuori un po' per volta e una ogni giorno; alla fine i suoi truci nemici di ieri gli faranno costruire un monumento in vita, magari a cavallo della sua bicicletta. Basta. E' anche vero che la riforma prevede un' inflazione al tasso adottato dalla contabilità dell' Eurostat al netto delle importazioni di beni energetici. Questo punto di riferimento è probabilmente migliore dell' inflazione programmata usata finora nei contratti. Ma qui cessano le virtù della riforma. Vediamone i difetti. 1. Riformare i contratti e agganciarli alla produttività in una fase di recessione, licenziamenti, diminuzione produttiva è come costruire caloriferi all' Equatore e frigoriferi ai Poli. Ma, si obietta, almeno la riforma sarà già pronta quando la crescita riprenderà. 2. L' accordo firmato venerdì non è un vero accordo sindacale e infatti si chiama «linee guida». Documento di indirizzo. Dopo la sua approvazione saranno discusse le linee guida di area e infine si arriverà ai contratti nazionali di categoria veri e propri. Diciamo che la costruzione è alquanto barocca, le linee guida sono più o meno un altro scatolone come la legge delega sul federalismo. Ma da dove viene l' urgenza? 3. L' urgenza viene dal fatto che Confindustria e sindacati (assente la Cgil) avevano stabilito il valore del «punto» retributivo al quale applicare il tasso d' inflazione Eurostat per determinare l' ammontare dei contratti di categoria. Il valore di quel «punto» è inferiore a quello attualmente vigente e sul quale sono stati costruiti i contratti fino a questo momento: inferiore di un 15 per cento nella migliore delle ipotesi. Non so se Enrico Letta fosse al corrente di questo piccolo dettaglio. Forse non guarderebbe con tanto ottimismo all' accordo di venerdì scorso. In sostanza l' operazione prevede una piattaforma al ribasso dei contratti nazionali, da recuperare nei contratti di secondo livello che saranno stipulati azienda per azienda, con esplicita esclusione di contratti di «filiera» riguardanti aziende di analoga struttura e produzione. Poiché il 95 per cento delle imprese italiane sono di piccolissime dimensioni, ciò significa che per una moltitudine di lavoratori il contratto di secondo livello non ci sarà mentre il contratto nazionale di base partirà con una decurtazione notevole. E' così che stanno le cose? Lo domando alla signora Marcegaglia e a Bonanni e Angeletti. Sarò lieto di essere smentito sulla base di fatti provati, ma se così è, a me sembra scandaloso. Post Scriptum. Il ministro Maroni, e per quanto riguarda Roma il sindaco Alemanno, dovrebbero fare penitenza. Pagare un pegno. Insomma scusarsi pubblicamente. Hanno impostato le loro campagne elettorali sulla sicurezza e vedete che cosa accade. Da Lampedusa alle metropoli italiane dove si verificano furti, rapine e violenze e stupri con frequenza quotidiana. Alemanno parla di sciacallaggio contro di lui; in realtà si tratta di notizie. Maroni si vanta dei grandi risultati ottenuti con il pattugliamento dell' Esercito. Ma dove, ma quando, ma come? Per merito dell' Esercito? Ma chi l' ha visto, l' Esercito? La De Filippi in trasmissione. Forse. - EUGENIO SCALFARI
La Repubblica — 25 gennaio 2009


martedì 20 gennaio 2009

"Abbiamo fatto tanta strada questa vittoria appartiene a voi"

Ecco il discorso con cui Barack Obama ha celebrato la vittoria a Chicago



Ciao Chicago!

(APPLAUSO) Se ancora c'è qualcuno che dubita che l'America non sia un luogo nel quale nulla è impossibile, che ancora si chiede se il sogno dei nostri padri fondatori è tuttora vivo in questa nostra epoca, che ancora mette in dubbio il potere della nostra democrazia, questa notte ha avuto le risposte che cercava.

(APPLAUSO) La risposta sono le code che si sono allungate fuori dalle scuole e dalle chiese con un afflusso che la nazione non aveva mai visto finora. La risposta sono le persone, molte delle quali votavano per la prima volta, che hanno atteso anche tre o quattro ore in fila perché credevano che questa volta le cose dovessero andare diversamente, e che la loro voce potesse fare la differenza.

GUARDA IL VIDEO INTEGRALE DEL DISCORSO

La risposta è la voce di giovani e vecchi, ricchi e poveri, Democratici e Repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, nativi d'America, gay, eterosessuali, disabili e non disabili: tutti americani che hanno inviato al mondo il messaggio che noi non siamo mai stati un insieme di Stati Rossi e Stati Blu. Noi siamo e sempre saremo gli Stati Uniti d'America.

(APPLAUSO) La risposta è ciò che ha spinto a farsi avanti coloro ai quali per così tanto tempo è stato detto da così tante persone di essere cinici, impauriti, dubbiosi di quello che potevano ottenere mettendo di persona mano alla Storia, per piegarla verso la speranza di un giorno migliore.

È occorso molto tempo, ma stanotte, finalmente, in seguito a ciò che abbiamo fatto oggi, con questa elezione, in questo momento preciso e risolutivo, il cambiamento è arrivato in America.

(APPLAUSO) Poco fa, questa sera ho ricevuto una telefonata estremamente cortese dal Senatore McCain.

(APPLAUSO) Il Senatore McCain ha combattuto a lungo e con forza in questa campagna, e ha combattuto ancora più a lungo e con maggiore forza per il Paese che ama. Ha affrontato sacrifici per l'America che la maggior parte di noi nemmeno immagina e noi oggi stiamo molto meglio anche grazie al servizio reso da questo leader coraggioso e altruista. Mi congratulo con lui e con la governatrice Palin per tutto quello che hanno ottenuto, e non vedo l'ora di lavorare con loro per rinnovare nei prossimi mesi la promessa di questa nazione.

(APPLAUSO) Voglio qui ringraziare il mio partner in questa avventura, un uomo che ha fatto campagna elettorale col cuore, parlando per le donne e gli uomini con i quali è cresciuto nelle strade di Scranton ...

(APPLAUSO) ... con i quali ha viaggiato da pendolare ogni giorno per tornare a casa propria nel Delaware, il vice-presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden.

(APPLAUSO) Io non sarei qui questa sera senza il sostegno continuo della mia migliore amica degli ultimi sedici anni...

(APPLAUSO) ... la roccia della mia famiglia, l'amore della mia vita, la prossima first lady della nazione...

(APPLAUSO) ... Michelle Obama.

(APPLAUSO) Sasha and Malia...

(APPLAUSO) ... vi amo entrambe moltissimo e ... vi siete guadagnate il cucciolo

(RISATE) ... che verrà con noi alla Casa Bianca...

(APPLAUSO) E mentre siamo qui e lei non è più con noi, so che mia nonna ci sta guardando, insieme a tutta la famiglia che ha fatto di me ciò che io sono. In questa sera così unica mi mancano tutti, e so che il mio debito verso di loro non è neppure quantificabile. A mia sorella Maya, mia sorella Alma, tutti i miei fratelli e le mie sorelle, voglio dire grazie per il sostegno che mi avete dato. Vi sono veramente molto grato.

(APPLAUSO) Al manager della mia campagna David Plouffe...

(APPLAUSO) ... il protagonista senza volto di questa campagna che ha messo insieme la migliore campagna elettorale - credo - nella Storia degli Stati Uniti d'America.

(APPLAUSO) al mio capo stratega David Axelrod...

(APPLAUSO) ... che è stato mio partner in ogni fase di questo lungo cammino... proprio il miglior team di una campagna elettorale mai messo insieme nella storia della politica...

(APPLAUSO) ... voi avete reso possibile tutto ciò, e io vi sarò eternamente grato per i sacrifici che avete affrontato per riuscirci.

Ma più di ogni altra cosa, non dimenticherò mai a chi appartiene veramente questa vittoria: appartiene a voi. Io non sono mai stato il candidato più ideale per questa carica. Non abbiamo mosso i primi passi nella campagna elettorale con finanziamenti o appoggi ufficiali. La nostra campagna non è stata pianificata nelle grandi sale di Washington, ma nei cortili di Des Moines, nei tinelli di Concord, sotto i portici di Charleston. È stata realizzata da uomini e donne che lavorano, che hanno attinto ai loro scarsi risparmi messi da parte per offrire cinque dollari, dieci dollari, venti dollari alla causa. Il movimento ha preso piede e si è rafforzato grazie ai giovani, che hanno rigettato il mito dell'apatia della loro generazione...

(APPLAUSO) ... che hanno lasciato le loro case e le loro famiglie per un'occupazione che offriva uno stipendio modesto e sicuramente poche ore di sonno; ai non più tanto giovani che hanno sfidato il freddo pungente e il caldo più soffocante per bussare alle porte di perfetti sconosciuti; ai milioni di americani che si sono adoperati come volontari, si sono organizzati, e hanno dimostrato che a distanza di oltre due secoli, un governo del popolo, fatto dal popolo e per il popolo non è sparito dalla faccia di questa Terra. Questa è la vostra vittoria...

(APPLAUSO) So che quello che avete fatto non è soltanto vincere un'elezione e so che non l'avete fatto per me. Lo avete fatto perché avete compreso l'enormità del compito che ci sta di fronte. Perché anche se questa sera festeggiamo, sappiamo che le sfide che il futuro ci presenterà sono le più ardue della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria da un secolo a questa parte. Anche se questa sera siamo qui a festeggiare, sappiamo che ci sono in questo stesso momento degli americani coraggiosi che si stanno svegliando nei deserti iracheni, nelle montagne dell'Afghanistan dove rischiano la loro vita per noi.

Ci sono madri e padri che resteranno svegli dopo che i loro figli si saranno addormentati e si arrovelleranno chiedendosi se ce la faranno a pagare il mutuo o il conto del medico o a mettere da parte abbastanza soldi per pagare il college. Occorre trovare nuova energia, creare nuovi posti di lavoro, costruire nuove scuole. Occorre far fronte a nuove sfide e rimettere insieme le alleanze.

La strada che ci si apre di fronte sarà lunga. La salita sarà erta. Forse non ci riusciremo in un anno e nemmeno in un solo mandato, ma America! Io non ho mai nutrito maggiore speranza di quanta ne nutro questa notte qui insieme a voi. Io vi prometto che noi come popolo ci riusciremo!
(APPLAUSO)

PUBBLICO: Yes we can! Yes we can! Yes we can!

OBAMA: Ci saranno battute d'arresto e false partenze. Ci saranno molti che non saranno d'accordo con ogni decisione o ogni politica che varerò da Presidente e già sappiamo che il governo non può risolvere ogni problema. Ma io sarò sempre onesto con voi in relazione alle sfide che dovremo affrontare. Vi darò ascolto, specialmente quando saremo in disaccordo. E soprattutto, vi chiedo di unirvi nell'opera di ricostruzione della nazione nell'unico modo con il quale lo si è fatto in America per duecentoventi anni, ovvero mattone dopo mattone, un pezzo alla volta, una mano callosa nella mano callosa altrui.

Ciò che ha avuto inizio ventuno mesi fa, nei rigori del pieno inverno, non deve finire in questa notte autunnale. La vittoria in sé non è il cambiamento che volevamo, ma è soltanto l'opportunità per noi di procedere al cambiamento. E questo non potrà
accadere se faremo ritorno allo stesso modus operandi.

Il cambiamento non può aver luogo senza di voi.
Troviamo e mettiamo insieme dunque un nuovo spirito di patriottismo, di servizio e di responsabilità, nel quale ciascuno di noi decida di darci dentro, di lavorare sodo e di badare non soltanto al benessere individuale, ma a quello altrui. Ricordiamoci che se mai questa crisi finanziaria ci insegna qualcosa, è che non possiamo avere una Wall Street prospera mentre Main Street soffre: in questo Paese noi ci eleveremo o precipiteremo come un'unica nazione, come un unico popolo.

Resistiamo dunque alla tentazione di ricadere nelle stesse posizioni di parte, nella stessa meschineria, nella stessa immaturità che per così tanto tempo hanno avvelenato la nostra politica. Ricordiamoci che c'è stato un uomo proveniente da questo Stato che ha portato per la prima volta lo striscione del partito Repubblicano alla Casa Bianca, un partito fondato sui valori della fiducia in sé, della libertà individuale, dell'unità nazionale. Sono questi i valori che abbiamo in comune e mentre il partito Democratico si è aggiudicato una grande vittoria questa notte, noi dobbiamo essere umili e determinati per far cicatrizzare le ferite che hanno finora impedito alla nostra nazione di fare passi avanti.

(APPLAUSO) Come Lincoln disse a una nazione ancora più divisa della nostra, "Noi non siamo nemici, ma amici, e anche se le passioni possono averlo allentato non dobbiamo permettere che il nostro legame affettivo si spezzi". E a quegli americani il cui supporto devo ancora conquistarmi, dico: forse non ho ottenuto il vostro voto, ma sento le vostri voci, ho bisogno del vostro aiuto e sarò anche il vostro presidente.

(APPLAUSO) A coloro che ci guardano questa sera da lontano, da oltre i nostri litorali, dai parlamenti e dai palazzi, a coloro che in vari angoli dimenticati della Terra si sono ritrovati in ascolto accanto alle radio, dico: le nostre storie sono diverse, ma il nostro destino è comune e una nuova alba per la leadership americana è ormai a portata di mano.

(APPLAUSO) A coloro che invece vorrebbero distruggere questo mondo dico: vi sconfiggeremo. A coloro che cercano pace e tranquillità dico: vi aiuteremo. E a coloro che si chiedono se la lanterna americana è ancora accesa dico: questa sera noi abbiamo dimostrato ancora una volta che la vera forza della nostra nazione non nasce dalla potenza delle nostre armi o dal cumulo delle nostre ricchezze, bensì dalla vitalità duratura dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità e tenace speranza.

(APPLAUSO) Perché questo è il vero spirito dell'America: l'America può cambiare. La nostra unione può essere realizzata. E quello che abbiamo già conseguito deve darci la speranza di ciò che possiamo e dobbiamo conseguire in futuro.

In queste elezioni si sono viste molte novità e molte storie che saranno raccontate per le generazioni a venire. Ma una è nella mia mente più presente di altre, quella di una signora che ha votato ad Atlanta. Al pari di molti altri milioni di elettori anche lei è stata in fila per far sì che la sua voce fosse ascoltata in questa elezione, ma c'è qualcosa che la contraddistingue dagli altri: Ann Nixon Cooper ha 106 anni. (APPLAUSO) È nata a una sola generazione di distanza dalla fine della schiavitù, in un'epoca in cui non c'erano automobili per le strade, né aerei nei cieli. A quei tempi le persone come lei non potevano votare per due ragioni fondamentali, perché è una donna e per il colore della sua pelle.

Questa sera io ripenso a tutto quello che lei deve aver visto nel corso della sua vita in questo secolo in America, alle sofferenze e alla speranza, alle battaglie e al progresso, a quando ci è stato detto che non potevamo votare e alle persone che invece ribadivano questo credo americano: Yes, we can.

Nell'epoca in cui le voci delle donne erano messe a tacere e le loro speranze soffocate, questa donna le ha viste alzarsi in piedi, alzare la voce e dirigersi verso le urne. Yes, we can.

Quando c'era disperazione nel Dust Bowl (la zona centro meridionale degli Stati Uniti divenuta desertica a causa delle frequenti tempeste di vento degli anni Trenta, NdT) e depressione nei campi, lei ha visto una nazione superare le proprie paure con un New Deal, nuovi posti di lavoro, un nuovo senso di ideali condivisi. Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: Quando le bombe sono cadute a Pearl Harbor, e la tirannia ha minacciato il mondo, lei era lì a testimoniare in che modo una generazione seppe elevarsi e salvare la democrazia. Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: Era lì quando c'erano gli autobus di Montgomery, gli idranti a Birmingham, un ponte a Selma e un predicatore di Atlanta che diceva alla popolazione : "Noi supereremo tutto ciò". Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: Un uomo ha messo piede sulla Luna, un muro è caduto a Berlino, il mondo intero si è collegato grazie alla scienza e alla nostra inventiva. E quest'anno, per queste elezioni, lei ha puntato il dito contro uno schermo e ha votato, perché dopo 106 anni in America, passati in tempi migliori e in ore più cupe, lei sa che l'America può cambiare. Yes, we can.

PUBBLICO: Yes we can.

OBAMA: America, America: siamo arrivati così lontano. Abbiamo visto così tante cose. Ma c'è molto ancora da fare. Quindi questa sera chiediamoci: se i miei figli avranno la fortuna di vivere fino al prossimo secolo, se le mie figlie dovessero vivere tanto a lungo quanto Ann Nixon Cooper, a quali cambiamenti assisteranno? Quali progressi avremo fatto per allora?
Oggi abbiamo l'opportunità di rispondere a queste domande. Questa è la nostra ora. Questa è la nostra epoca: dobbiamo rimettere tutti al lavoro, spalancare le porte delle opportunità per i nostri figli, ridare benessere e promuovere la causa della pace, reclamare il Sogno Americano e riaffermare quella verità fondamentale: siamo molti ma siamo un solo popolo. Viviamo, speriamo, e quando siamo assaliti dal cinismo, dal dubbio e da chi ci dice che non potremo riuscirci, noi risponderemo con quella convinzioni senza tempo e immutabile che riassume lo spirito del nostro popolo: Yes, We Can.

(APPLAUSO) Grazie. Dio vi benedica e possa benedire gli Stati Uniti d'America.

Traduzione di Anna Bissanti
(5 novembre 2008)
La repubblica 20.01.09

«Niente discarica sui Piani Palentini» Comitato civico e Legambiente: puntare sulla differenziata


La grande partecipazione all'assemblea pubblica porposta da comitato piani palentini sul progetto della megadiscarica di Capistrello - denota quale attenzione e interesse da parte dei cittadini graviti intorno alla questione rifiuti
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Belardo Viola


Capistrello. Duecento cittadini all’assemblea, osservazioni al progetto della Segen e appello alla Regione

CAPISTRELLO. «No alla discarica, si alla raccolta differenziata». Questo il coro unanime che si è alzato domenica pomeriggio nella prima assemblea organizzata dal neo nato comitato “Piani Palentini” per dire no alla realizzazione del progetto della mega discarica che dovrebbe sorgere in località Trasolero, nel comune di Capistrello. Oltre duecento persone hanno ascoltato gli interventi dei coordinatori del comitato e del presidente regionale di Legambiente Angelo Di Matteo.
La salute dei cittadini e la tutela dell’ambiente vengono prima di tutto per i membri del comitato “Piani Palentini”, e per questo hanno deciso di opporsi in tutti i modi alla realizzazione della nuova discarica da 285.000 metri cubi.
Dopo l’approvazione della concessione per lo studio di fattibilità che la Segen, società marsicana che gestisce i rifiuti, dovrebbe condurre per un’eventuale realizzazione della discarica “Trasolero”, gli abitanti dei Piani Palentini hanno deciso di entrare in azione. La prima iniziativa del comitato è stata l’assemblea di domenica alla quale la cittadinanza ha risposto molto bene. In un primo momento i coordinatori e il presidente Di Matteo hanno spiegato il perché del no alla discarica.
«La discarica potrebbe portare troppi danni», ha dichiarato il rappresentante del comitato Francesco Eligi «sia alla salute dei cittadini, sia al paesaggio, sia all’ambiente».
Nella seconda parte dell’incontro il presidente di Legambiente Abruzzo ha spiegato l’alternativa alla discarica: la raccolta differenziata e il riciclaggio dei rifiuti. Nei comuni dove c’è una discarica, infatti, la differenziazione dei rifiuti è meno praticata che nelle altre comunità. Con la raccolta “porta a porta” invece si può rispettare l’ambiente, creare posti di lavoro e risparmiare sulla Tarsu, perché i comuni se si pratica la differenziata non pagano l’ecotassa.
Di Matteo poi, per rispondere ai tanti interrogativi dell’assemblea, ha distribuito un libricino dove compaiono dati e informazioni utili sulla raccolta differenziata nella nostra regione. In Abruzzo, secondo i dati forniti dalle statistiche dell’associazione ambientalista, su 306 sono pochi i comuni che differenziano carta, vetro e plastica. Tra questi quelli marsicani sono agli ultimi posti, Capistrello per esempio è al 290º posto.
Il rappresentante regionale di Legambiente ha poi spiegato che se si scegliesse la strada della differenziata, in soli sei mesi il comune dei Piani Palentini potrebbe passare dall’attuale 4% di materiali differenziati al 60%. Entusiasti per l’ottima riuscita dell’assemblea di domenica pomeriggio, i coordinatori del comitato “Piani Palentini” stanno organizzando altri incontri a Scurcola dei Marsi, Villa San Sebastiano e Tagliacozzo. A breve poi il comitato e Legambiente presenteranno agli Uffici regionali del Via (Valutazione impatto ambientale) le osservazioni sul progetto della discarica di Trasolero.

Eleonora Berardinetti

articolo tratto da: Il Centro 20.01.2009

giovedì 15 gennaio 2009

Industria, produzione in picchiata nel settore auto crollo del 46,4%

L'Ocse: "Nel periodo 2003-2007 crescita italiana tra le peggiori dell'Eurozona"
Industria, produzione in picchiata nel settore auto crollo del 46,4%

ROMA - Crolla la produzione industriale. A novembre 2008, in base ai dati resi noti dall'Istat, l'indice ha registrato una contrazione del 12,3% rispetto a novembre 2007. Anche al netto degli effetti di calendario (novembre scorso ha avuto un giorno lavorativo in meno rispetto allo stesso mese dell'anno prima) si registra una diminuzione su base annua del 9,7%: si tratta della diminuzione più ampia dal gennaio 1991. Su base mensile, rispetto a ottobre 2008, il calo è stato del 2,3%.
Ancora più drammatica la caduta nel settore automobilistico. La produzione di autoveicoli in Italia, sempre in base ai dati comunicati dall'Istat, a novembre è precipitata del 46,4% su base annua (dato grezzo) e del 42,8% considerando gli effetti di calendario. Nei primi 11 mesi la diminuzione è stata del 16,8% in termini grezzi e del 16,3% considerando la correzione per giorni lavorativi.
Gli indici destagionalizzati dei raggruppamenti principali di industrie hanno segnato una variazione nulla rispetto a ottobre 2008 per i beni di consumo ( 0,8% i beni non durevoli, -3,9% i beni durevoli), mentre si sono verificate diminuzioni del 4,5% per i beni strumentali, del 3,9% per l'energia e del 2,8% per i beni intermedi.
Nel mese di novembre l'indice della produzione industriale corretto per i giorni lavorativi ha segnato, rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, un'unica variazione positiva per il settore delle industrie tessili e abbigliamento ( 0,5%). Le diminuzioni tendenziali più marcate hanno riguardato i settori dei mezzi di trasporto (-22,3%), della lavorazione di minerali non metalliferi (-13,9%), della gomma e materie plastiche (-13,8%) e dell'estrazione di minerali (-13,4%).
Nel confronto tra i primi undici mesi del 2008 e il corrispondente periodo del 2007, si è registrato un aumento nel settore dell'energia elettrica, gas e acqua ( 1,5%). Le diminuzioni più ampie hanno interessato i comparti delle pelli e calzature (-9,8%), del legno e prodotti in legno (-9,4%), dell'estrazione di minerali (-8,9%) e della lavorazione di minerali non metalliferi (-6,9%).
Segnali di una crisi crescente che riguarda tutta la zona euro, come pronosticato oggi dall'Economic Survey per l'Area dell'Euro, presentato oggi dall'Ocse. La crescita, sottolinea l'organizzazione, rimarrà sotto il potenziale fino alla metà del 2010. Nel rapporto si parla in particolare di una "contrazione della produzione nella seconda parte del 2008 e nella prima del 2009, con una crescita che rimane sotto il potenziale fino a metà del 2010".
La situazione italiana è però più grave di quella delle altre economie europee in quanto ha arrancato anche nella fase espansiva. L'Ocse segnala infatti che in Italia negli anni dal 2003 al 2007 la crescita media è stata solo dell'1,1%, a fronte di un Pil dell'Eurozona aumentato del 2%. Peggio di noi ha fatto solo il Portogallo con un 1%, mentre l'Irlanda è il paese meglio piazzato, con un +5,5%, seguito dal Lussemburgo (+4,6%) e dalla Grecia (+4,3%).
L'andamento negativo secondo l'Ocse si ripercuterà fortemente anche sui bilanci statali. "Alcuni governi - ricorda lo studio - hanno fatto ricorso alla politica di bilancio per attenuare la frenata dell'economia" e "hanno messo a disposizione sostanziosi fondi pubblici per supportare la stabilità del sistema finanziario". L'organizzazione prevede quindi che nell'eurozona il deficit di bilancio aumenterà dello 0,8% del Pil sia nel 2008 che nel 2009, azzerando buona parte del calo registrato nel 2006-2007.

Tratto da: La Repubblica (14 gennaio 2009)

lunedì 12 gennaio 2009

Alitalia, addio Italia



Spiegatelo con parole semplici ai vostri amici, parenti, conoscenti che votano per il centro-destra, ché i conti della serva li capiscono anche loro. Mille articoli e studi possono usare maggior proprietà ma è necessario accendere una candela in memoria di Alitalia, che è forse in memoria dell’Italia paese sviluppato.
Lo svuotamento, perché di questo si tratta (ricordate Michael Douglas in Wall Street) della compagnia di bandiera non passa alla storia solo come il simbolo del cinismo, della malafede e del pressappochismo dell’era di Silvio Berlusconi ma forse come il punto di non ritorno della breve stagione italiana tra i paesi avanzati.
Spiegatelo con pazienza che tra la soluzione miracolosa trovata dal grande venditore e l’accordo faticosamente raggiunto da Romano Prodi con il presidente di AirFrance-KLM, Jean-Cyrill Spinetta, meno di un anno fa, ci sono ben 5 miliardi di Euro di differenza a nostro carico e 7.000 posti di lavoro persi in più. Fatelo notare che con 5 miliardi di Euro ci si fa più del ponte sullo stretto di Messina. Ricordatelo che ci si potevano fare 11 (undici) social card, ovvero (senza entrarne nel merito) redistribuire ad ognuno degli indigenti beneficiati non 40 ma 440 Euro al mese. Oppure ditelo che quei 5 miliardi si potevano investire per costruire un pezzo di futuro per la generazione precaria, un figlio o una sorella precaria ce l’avranno anche i vostri amici che hanno votato Silvio.
Ci si poteva fare, a costi da paese civile, quasi tutta la TAV da Napoli a Milano. Sarebbero stati necessari meno di 7 miliardi in Francia, Spagna o Germania visto che a tutti la TAV costa circa 9 milioni al km, solo da noi si superano i 30. Oppure, se non si fosse usata Alitalia contro Prodi, ci si poteva costruire un modernissimo ospedale per ogni regione attrezzato di tutto punto per ogni patologia. Questi 5 miliardi di Euro (10.000 miliardi di lire) erano soldi che (al governo Prodi) AirFrance aveva accettato di pagare o debiti che aveva deciso di accollarsi. Invece Berlusconi li ha buttati via e ha scelto per cinismo politico di farli accollare ad ognuno di noi.
Il risultato è ritrovarsi comunque con AirFrance padrona della compagnia (gli amici del capo ne usciranno presto con favolosi guadagni), ma con l’aggravante di un regime senza concorrenza, di sostanziale monopolio sulle nostre rotte interne. Le tariffe stanno già aumentando. Per ottenerlo la compagnia di bandiera francese paga una frazione di quello che aveva sottoscritto di pagare al governo Prodi (l’eversione sindacale, spesso ma non sempre legata ad Alleanza Nazionale, ha avuto un ruolo importante e nefasto, quasi golpista).
Spiegatelo ai vostri amici che hanno votato per la PdL cosa è successo con Alitalia. E’ come se il proprietario di un bell’appartamento in centro, ma oberato da un grosso mutuo, lo avesse svenduto al prezzo di un garage ma continuasse a pagare puntualmente il mutuo andando a dormire in una stanza ammobiliata.
Ma il caso Alitalia è anche la Caporetto del liberalismo economico in Italia.
Lo dimostra il teatrino su Malpensa con la lotta interna lombarda tra Milano, che per difendere Linate è in sinergia con Fiumicino, e la fascia pedemontana che difende Malpensa. Questa non è una “cattedrale nel deserto”, ma è una cattedrale di troppo, la costruzione della quale è forse stata il più grande caso di clientelismo politico nella storia della Repubblica. Né Umberto Bossi, né la CAI, né Berlusconi, né AirFrance pensano che “liberalizzare le rotte” sia un bene. Anzi, temono la liberalizzazione più di ogni altra cosa e la ventilano solo come strumento di ricatto.

La Lega, che ha tanto criticato la “Cassa per il Mezzogiorno”, oramai considera “Roma ladrona” una sorta di “Cassa della mezzanotte” dalla quale attingere senza limite, tanto che lo stesso Berlusconi ne è preoccupato. In questo modo, chiunque in buona fede può capirlo, il liberismo economico si riassume definitivamente nella sola libertà di evadere il fisco.
Purtroppo non è tutto qui, anzi quanto esposto è solo la premessa al peggio. Quel macigno di cinque miliardi di deficit aggiuntivo creati ad arte da Berlusconi per vincere le elezioni e fare un favore ad imprenditori amici (metteteci anche l’abolizione dell’ICI e i costi del federalismo fiscale e il tutto vale più di un paio di punti di PIL), ci stanno materialmente spingendo fuori dall’Europa.
Tra un paio di semestri i più solidi paesi dell’Unione avranno superato il peggio della crisi, esigeranno che il patto di stabilità torni ad essere rispettato e Lucignolo-Italia si troverà da solo dietro la lavagna. Se si rifiuterà o non saprà farlo potrebbe perfino essere espulso dalla scuola. Quando i nodi verranno al pettine si scoprirà che l’Euro (l’Euro di Prodi, il vituperato, calunniato “Euro di Prodi”) un paese come l’Italia non se lo può più permettere e se non ci cacceranno fuori a qualcuno da noi verrà la tentazione di autoescluderci e di battere carta igienica come moneta. Ma quell’Euro (di Prodi, che vi piaccia o no) è l’ultimo ancoraggio del paese al mondo sviluppato. Di mezzo ci sono le nostre vite, il nostro lavoro, le nostre scuole, i nostri ospedali, le nostre pensioni, la moneta con la quale poter pagare il gas del riscaldamento quest’inverno, in un paese che dipende dai combustibili fossili senza possederne.
La storia, shakespeareanamente circolare, accelera: “quando i migranti saremo noi”.

di
di Gennaro Carotenuto, domenica 11 gennaio 2009
Articolo tratto da : Giornalismo partecipativo

LA MALATTIA DELLE ISTITUZIONI


“La situazione politica in Italia è grave, ma non è seria”. La battuta dal Diario notturno di Ennio Flaiano, intrisa di amaro sarcasmo, si materializza in questi giorni nella sua città, Pescara. Quelle dimissioni del sindaco annunciate e poi ritirate, causa certificato medico, hanno aggiunto un inedito tassello al variopinto mosaico delle rappresentazioni degli italici difetti delle classi dirigenti: al consumato «tengo famiglia», cui neanche un duro come Antonio Di Pietro ha saputo sottrarsi, ecco affiancarsi un «marco visita» che sa tanto di servizio militare.
Mossa astuta ma non troppo, da alunno furbetto dell’ultimo banco come l’ha definita Maurizio De Luca su questo giornale. Naturalmente io credo nella professionalità dei medici e alla bontà dei certificati di malattia che quotidianamente vengono vergati. Tuttavia non pochi avranno pensato che il sindaco di Pescara sia un po’ più privilegiato dei comuni ammalati.
Quel documento medico, infatti, prima ancora della patologia di Luciano D’Alfonso, certifica la malattia di cui soffrono le nostre istituzioni democratiche. Una sindrome autoreferenziale che allontana sempre più chi governa dai cittadini.Il Centro è stato il primo giornale a raccontare i punti deboli e le contraddizioni dell’inchiesta giudiziaria che ha colpito D’Alfonso; abbiamo imparato che non tutte le accuse provenienti dagli uffici delle procure rappresentano la verità rivelata. Ciononostante avevamo auspicato un passo indietro del sindaco affinché potesse difendersi liberamente adottando un costume politico raro in Italia ma così diffuso in altri paesi occidentali: quello delle dimissioni irrevocabili. Da un sindaco emergente, con ambizioni da leader, esponente di punta di un partito che si definisce riformatore ci si aspettavano due elementi di novità: moralità pubblica e innovazione politica. A Pescara stanno venendo meno l’una e l’altra.
Con questa mossa D’Alfonso (e chi lo ha mal consigliato) non evita neppure le elezioni anticipate che comunque si svolgeranno in giugno. Trasferendo i poteri di primo cittadino al suo vice e ai suoi assessori, come legge e regolamenti consentono, dà l’immagine di chi non intende rinunciare per nessuna ragione al controllo del Palazzo, come una Iervolino o un Bassolino a Napoli. Nelle intenzioni sarà pure una scelta a favore della città, scongiurando l’arrivo di un commissario, ma nei fatti appare come una mossa di convenienza. Un insperato regalo al centrodestra; dopo la Regione il Pdl punta a riprendersi anche il Comune e forse le province. La questione morale, per un partito che è in conflitto permanente con la giustizia, diventa l’arma da brandire per la vittoria. Le
elezioni incombono. Un innocuo striscione di protesta srotolato durante un confuso e impacciato consiglio comunale viene strappato e censurato da solerti vigili-gendarmi. Vittime i consiglieri di centrodestra, quelli del centrosinistra i mandanti. E’ proprio vero: la situazione è grave ma non è seria.

Di Luigi Vicinanza

Tratto da Il Centro - 11 gennaio 2009


lunedì 5 gennaio 2009

Voi, figli rassegnati a un mondo di noia


Un'amico mi fa riscoprire questa "riflessione" sui giovani di Gaber, la condivido con tutti Voi.
Augusto B.


Ora basta con le finzioni, io ho 50 anni, siamo in pieno duemila e mi domando: che eredità stiamo lasciando ai nostri figli? Forse in alcuni casi un normale benessere, ma non è questo il punto. Voglio dire, c’è un’idea, un sentimento, una morale, una visione del mondo, no, tutto questo non lo vedo. Allora ci saranno senz’altro delle colpe. Sì, il coro della tragedia greca, i figli devono espiare le colpe dei padri…. Siamo forse noi padri insensibili, autoritari, legislatori di stupide istituzioni ? Credo di no. Allora dove sono le nostre colpe? E’ che è troppo facile per noi essere pacifisti, antiautoritari, e democratici. I nostri nonni avevano fatto la Resistenza, forse avremmo dovuto farla anche noi, la resistenza. E’ sempre tempo di Resistenza, magari ad altre cose. Allora perché, invece di esibire il nostro atteggiamento libertario, non abbiamo dato uno sguardo all’avanzata dello sviluppo insensato, perché invece di parlare di buoni e di cattivi non abbiamo alzato un muro contro la mano invisibile e spudorata del mercato, perché avvertiamo l’appiattimento nel consumo ma continuiamo a comprare motorini ai nostri figli, perché non ci siamo mai ribellati alla violenza dell’oggetto, perché non abbiamo mai preso in considerazione parole come essenzialità? Il mercato ci ringrazia, gli abbiamo dato il nostro prezioso contributo.
E voi, sì voi come figli, voi venticinquenni di ora, non avete neanche una colpa? Dov’è il segno di una vita diversa? Forse sono io che non lo vedo, ma rispondetemi, dov’è la spinta verso qualcosa che sta per nascere, dov’è la vostra individuazione del nemico, quale resistenza avete fatto contro il potere, contro le ideologie dominanti, contro la logica del consumo, contro il dilagare del superfluo? Il mercato ringrazia anche voi.
D’accordo, non posso essere io a lanciare ingiurie contro la vostra impotenza, c’ho da pensare alla mia. Però spiegatemi, perché vi abbandonate ad un’inerzia così silenziosa e passiva, perché vi rassegnate a questa vita mediocre, senza l’ombra di un desiderio vero, di uno slancio, di una proposta qualsiasi, vitale, rigorosa, qualcosa che possa esprimere almeno un rifiuto, una indignazione, un dolore. Perché il dolore ti aiuta a crescere, il dolore è visibile, chiaro, localizzato. Ma quale dolore, ormai non sappiamo più neanche cos’è, il dolore. Siamo caduti in una specie di noia, di depressione. Certo, è il marchio dell’epoca, la malattia dell’epoca. E quando la depressione di insinua dentro di noi, tutto sembra privo di significato, senza sostanza, senza nulla, salvo questo nulla non identificabile, che ci corrode.

Giorgio Gaber