Circolo Partito Democratico - Capistrello (Aq)

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domenica 28 giugno 2009

Il centro storico la memoria dell’abbandono



Uniti alla totale assenza, nel corso degli ultimi 20 anni di una politica di valorizzazione turistico-culturale del patrimonio storico e ambientale del paese di Capistrello e delle sue frazioni (in particolare del prezioso centro storico di Corcumello) , oggi si aggiungono anche il degrado e l'abbandono.
Le piccole e caratteristiche "rue" del centro storico di Capistrello ( via Colle Carletta, via del Giardino, via Mazzini, etc). sono ormai invase da erbacce, sporcizia, di ogni genere con strade e muri in totale rovina .

Il centro storico di Capistrello è costituito da un'interessante impianto urbanistico , sviluppatosi a ridosso delle pendici del Monte Aurunzo, in una posizione strategica di controllo sulla Valle Roveto e sulla Valle Nerfa, nel punto in cui essa si apre sui Piani Patentini.
Tra le attrazioni storico/archeologiche spicca l'interessante sito archeologico dell'Emissario del Fucino, nel quartiere Camerata e le rovine della centrale elettrica - importante sito di archeologia industriale.

Un antico proverbio africano dice :” il miglior momento per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso” .

Nonostante l’abbandono e le ferite lasciate dai pesanti rifacimenti degli anni '70 e '80 e un latente abusivismo che ne ha compromesso l'integrità e l'originalità architettonica, il centro storico di Capistrello e di Corcumello con le sue pietre, i suoi vicoli, i portali in pietra e ogni singolo sasso, è testimone della storia e della cultura di questi luoghi e della sua gente.
Un patrimonio che andrebbe tutelato e valorizzato e non abbandonato all'incuria e alla rovina.

Bisegna Augusto

venerdì 26 giugno 2009

Corruzione, tassa occulta e immorale- Ci costa 50-60 miliardi di euro l'anno"

Lo afferma il procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci: "Maggiori conseguenze vengono prodotte dalla corruzione serpeggiante nella P.A. sul piano della sua immagine, della moralità e della fiducia"

Roma, 25 giugno 2009 - Il fenomeno della corruzione all’interno della Pubblica Amministrazione "è talmente rilevante e gravido di conseguenze" da poter impattare per oltre 60 miliardi di euro l’anno. Si tratta di una vera e propria "tassa immorale e occulta pagata con i soldi rilevati dalle tasche dei cittadini". Lo afferma il procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio 2008.
Secondo il procuratore è più che ragionevole temere che il suo impatto sociale "possa incidere sullo sviluppo economico del paese anche oltre la stima effettuata dal Saet (Servizio anticorruzione del ministero della P.A.) nella misura prossima a 50-60 miliardi di euro all’anno". Maggiori conseguenze, inoltre, secondo il procuratore vengono prodotte "dalla corruzione serpeggiante nella P.A. sul piano della sua immagine, della moralità e della fiducia che costituiscono un ulteriore costoso non monetizzabile per la collettività che rischia di ostacolare gli investimenti esteri, di distruggere la fiducia nelle istituzioni e di togliere la speranza nel futuro alle generazioni di giovani, di cittadini ed imprese".

tratto da: Il sole240re

martedì 23 giugno 2009

La riscossa delle minoranze



Essere minoranza significa impersonare il seme del Seminatore della parabola evangelica: «Un riferimento politico costante è da molti anni in qua, per me, la parabola del seminatore. Si semina senza saper bene dove il seme andrà a cadere, e se attecchirà, e se darà una pianta fruttuosa. Dipende da dove cade, prevederlo non è possibile». Nonostante questo, bisogna rischiare di essere «minoranza etica», ovvero «persone che scelgono di essere minoranza, che decidono di esserlo per rispondere a un’urgenza morale. […] Don Milani fa dire ai suoi scolari, alla fine della Lettera a una professoressa, che gira e rigira, la cosa fondamentale è per sempre l’amore del prossimo, e io vedo in questo anche l’inizio di ogni tentativo di agire nella storia per portarvi più giustizia, la realizzazione dei principi di libertà, uguaglianza e fraternità. È dall’amore del prossimo che sono nate le grandi rivoluzioni sociali e politiche. Questo deve essere il nostro orizzonte, vecchio e nuovo insieme: l’orizzonte della solidarietà con gli oppressi e tra gli oppressi».

Per uno che, per tanti anni, è stato considerato un’eminenza grigia di prim’ordine della cultura progressista italiana, è alquanto singolare tale valutazione ammirata del cattolicesimo sociale. Goffredo Fofi, critico cinematografico, intellettuale ed animatore sociale, giornalista ­anche su queste pagine - , lancia più di una suggestione nel racconto autobiografico a due voci con Oreste Pivetta confluito in La vocazione minoritaria. Intervista sulle minoranze (pp. 164, euro 12), in uscita questa settimana per Laterza. L’autore umbro sgombera subito il campo: il suo interesse per i gruppi minoritari non è esotico, bensì ha un interesse primariamente etico: «Credo che gli intellettuali dovrebbero avere l’obbligo morale, determinato dalla possibilità che hanno di studiare e capire di più e meglio degli altri, di osar essere minoranza, di scegliere di esser minoranza, di mostrare una diversità reale, di legare la propria ricerca a una qualche forma di intervento sociale».

Per Fofi questa «vocazione minoritaria» - simboleggiata da un quadro, La vocazione di Matteo di Caravaggio, che egli possiede nella sua camera da letto - ha assunto i tratti di un pluriforme impegno educativo: l’immersione nel proletariato torinese, in quello 'marginale' a Napoli come collaboratore ad una mensa popolare, tra gli italiani emigrati a Parigi. «In Sicilia avevo raggiunto Danilo Dolci, per tre anni condivisi in modo pieno la vita dei disoccupati di Partinico e di Palermo e dei bambini di Cortile Cascino», rievoca Fofi, riferendosi all’esponente pacifista siciliano. Altra esperienza di minoranza raccontata è quella della comunità Agape di ambito valdese, e di Nomadelfia di don Zeno Saltini. Ambienti minoritari decisivi per Fofi furono poi Aldo Capitini e la sua non violenza attiva, e Alex Langer, l’attivista-politico bolzanino, «il migliore di tutti noi». Tutte vicende di minoranza rispetto all’omologazione dominante che per Fofi scaturiscono da un preciso assioma: «Il rifiuto di partecipare a un sistema di sopraffazione e di violenza». E invece i maître a penser della cultura italiana, soprattutto a sinistra, hanno deluso il direttore della rivista Lo straniero: «Non si sono più voluti davvero 'diversi' dai loro committenti.

Ridotti ad appendice strumentale del potere o funzionari di questa o quella istituzione, a intrattenitori delle masse teleguidate dal 'principe', a educatori senza amore e interesse per gli educandi e senza libertà di metodo e di proposta». Però Fofi individua alcune «minoranze della minoranza» che resiste e porta avanti un discorso culturale fatto di resistenza etica all’omologazione. Ammira quei cattolici, in diverse forme, che sono Goffredo Fofi stati a suo parere il prodotto migliore del Sessantotto: «Credo che il meglio è venuto da certe minoranze cattoliche, che hanno preso molto dal ’68, ma che ne hanno tradotte le istanze nelle pratiche di organizzazione e difesa di chi vive ai margini». Esempi? Nel testo si fa il nome di don Vinicio Albanesi e della sua comunità di Capodarco, «che si occupa di handicap. Credo che se la condizione degli handicappati in Italia è enormemente cambiata in meglio dopo il ’68 sia stato per merito di questi gruppi». Poi ci sono i nomi 'storici' delle minoranze cattoliche che Fofi ammira per la loro lucida ed evangelica testimonianza: Mazzolari, Milani, Dossetti,

A fianco don Zeno di Nomadelfia con i suoi ragazzi. Sopra Aldo Capitini, sotto Alex Langer. Turoldo, Balducci, Vannucci, il defunto direttore della Caritas di Roma don Luigi Di Liegro. E risalta una speciale venerazione per don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, «un uomo eccezionale, un altro il cui magistero è stato poco ascoltato». Che dovrebbero fare le 'minoranze etiche' oggi di fronte alla crisi della cultura (Fofi ha parole molto dure per l’attuale pensiero di sinistra, per non parlare dei politici ed ex comunisti …)? Ripartire dall’educazione. Anche con una proposta che farà inorridire molti dalle parti della gauche nostrana: «Oggi che la scuola di Stato è diventata il disastro che sappiamo ormai tutti […], se tu volessi dar vita a qualcosa di tuo, magari in forma cooperativa, non riusciresti a farlo: una quantità di leggi e regolamenti assurdi te lo impedirebbe». Anche un pensatore lucido e fuori dagli schemi come Fofi, conterraneo del Poverello d’Assisi, condivide così l’idea che la libertà di educazione può rimettere in moto il Paese.
Lorenzo Fazzini

tratto da : Avvenire.it

Tg1 nella bufera, Minzolini si difende


Il silenzio del Tg1 sull’inchiesta di Bari e sulle frequentazioni private del presidente del Consiglio di­venta un caso politico di cui si occu­perà la commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai: domani l’ufficio di presidenza deciderà se convocare il di­rettore della testata Augusto Minzolini, come chiede il centrosinistra. Ma sul giornalista, da poco nominato alla gui­da del tg della rete ammiraglia, è già in­tervenuto ieri il presidente della Rai Paolo Garimberti. Intorno a mezzo­giorno, al settimo piano della sede di viale Mazzini, in un colloquio durato circa 20 minuti,
Garimberti ha ricordato a Minzolini che «completezza e trasparenza dell’informazione sono un dovere imprescindibile del servizio pubblico radiotelevisivo». Minzolini, da parte sua, si è spiegato con un editoriale nel tg della sera, af­fermando che la «posizione prudente» sugli incontri nelle case di Berlusconi dipende solo da un fatto: «Dentro que­sta storia piena di allusioni, testimoni più o meno attendibili e rancori per­sonali, non c’è ancora una notizia cer­ta e tanto meno un’ipotesi di reato che coinvolga il premier e i suoi collabora­tori », ma solo «gossip». Più volte in que­ste settimane – ha osservato il diretto­re – «è stata messa sotto i riflettori la vi­ta privata del premier in nome di un improvviso moralismo», ma «stru­mentalizzazioni e processi mediatici non hanno nulla a che vedere con il servizio pubblico».

Né il Tg1 «può met­tersi a «scimmiottare qualche quoti­diano o rotocalco». Una linea di difesa «incredibile» e che lascia «allibiti», per Paolo Gentiloni del Pd, perché «Minzolini è l’unico diret­tore di telegiornale del mondo occi­dentale a considerare 'non notizie' le notizie» che coinvolgono Berlusconi. Editoriale «sconcertante» anche a giu­dizio dell’ex-girotondino Francesco Pardi dell’Idv. E «inaccettabile» per Car­lo Verna, il segretario dell’Usigrai, il sin­dacato dei giornalisti Rai: «Come si fa a definire gossip, pettegolezzo, un’in­chiesta giudiziaria di cui parlano i gior­nali di mezzo mondo?».

Con Minzolini si è schierato il sottose­gretario alla Presidenza del Consiglio e portavoce del premier Paolo Bonaiuti: «L’informazione pubblica segue i fatti e non i pettegolezzi», ha affermato, ma «la sinistra ancora sogna Telekabul». In attesa di affrontare la vicenda, il pre­sidente della commissione di Vigilan­za Sergio Zavoli (Pd) si è detto convin­to che vadano «riscritte con urgenza le regole per renderle finalmente vinco­lanti », affermando il principio in base al quale «non può darsi che proprio il servizio pubblico venga meno al dove­re di rispettare il pluralismo e la com­pletezza dell’informazione».

A innescare anche a livel­lo aziendale la polemica che già da giorni infuria­va nei palazzi della politi­ca era stato, domenica sera, Nino Riz­zo Nervo, consigliere di amministra­zione Rai in quota centrosinistra. In u­na nota sul «silenzio» relativo al caso di Bari, Rizzo Nervo aveva rilevato che il Tg1 «deve rispondere ai milioni di cit­tadini che pagano il canone per rice­vere un’informazione completa e non condizionata dalle amicizie personali di chi pro-tempore dirige un telegior­nale ». Ma, soprattutto, aveva avvertito Minzolini che «la continua violazione degli impegni» presi con l’editore «può rappresentare una giusta causa di ri­soluzione del rapporto di lavoro». Parole che hanno spinto il capogrup­po del Pdl al Senato Maurizio Gaspar­ri a protestare: «È inaccettabile che Riz­zo Nervo minacci Minzolini». Di «inti­midazioni » hanno parlato anche il vi­ceministro delle Comunicazioni Paolo Romani e il vicepresidente della Vigi­lanza Giorgio Lainati. Intanto il leader dell’Italia dei valori An­tonio Di Pietro sta cercando di au­mentare i 'capi d’imputazione' a cari­co di Minzolini, addebitandogli anche «il silenzio» sul suo partito. In campo la commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai
Danilo Paolini

tratto da : Avvenire.it

giovedì 18 giugno 2009

Emergenza idrica a Capistrello il segretario i circolo del Pd denuncia il disservizio


Capistrello. "Proprio durante i giorni dei festeggiamenti del santo patrono, i residenti del quartiere Camerata hanno subito i disagi dovuti alla mancanza di acqua, addirittura, alcuni turisti romani che avevano deciso di trascorrere qualche giorno a Capistrello, sono stati costretti a ripartire perché non più disposti a tollerare uno stato di precarietà che si ripete ormai da settimane", spiega il segretario di circolo del Pd di Capistrello Alfio Di Battista. "Una vera e propria emergenza igenico-sanitaria nell'imminenza di un'estate che si preannuncia molto calda. Al pesante disagio si va ad aggiungere l'assoluta immobilità di un ente commissariato che pare essere un muro di gomma su cui rimbalzano le proteste dei cittadini", continua Di Battista.

"Il commisario prefettizio, la dottoressa Franca Ferraro, già informata nei giorni scorsi sulla situazione, dedica al nostro paese uno o al massimo due giorni alla settimana, troppo poco tempo per dare risposte operative sul piano della gestione ordinaria di un centro di seimila abitanti. Non chiedo miracoli ma almeno il minimo indispensabile per far sentire gli abitanti del mio paese, che hanno appena votato per le Europee, veramente cittadini dell'europa e non sudditi di un paese del quarto mondo.
Le cause di questo totale stato di abbandono non sono ovviamente ascrivibili al commissario prefettizio ma i continui rinvii che stanno caratterizzando la sua gestione nell'affrontare le questioni lasciate sul tavolo dall'ultima amministrazione vanno sicuramente a danneggiare i cittadini che potranno pur avere qualche colpa nell'aver scelto male i propri rappresentanti politici ma di certo non ne hanno alcuna sulla scelta del proprio commissario".

tratto da : www.terremarsicane.it


Acqua, scatta l’emergenza
Capistrello, protesta il segretario del Pd

CAPISTRELLO. Disagi per la mancanza di acqua sono stati registrati nei giorni scorsi nel quartiere Camerata di Capistrello. Il segretario di circolo del Pd, Alfio Di Battista, parla di emergenza igienicosanitario nell’imminenza dell’estate. «Al disservizio di questi giorni», ha spiegato Di Battista «si aggiunge l’assoluta immobilità di un ente commissariato che pare essere un muro di gomma su cui rimbalzano le proteste. Il commissario prefettizio (Franca Ferraro) è poco presente in paese e i continui rinvii di decisioni strategiche per l’amministrazione vanno a danneggiare la comunità. Chiediamo di far sentire gli abitanti di Capistrello cittadini d’Europa e non sudditi di un paese del quarto mondo». (e.b.)

tratto da : Il Centro 18.06.09


Gli sfollati protestano e a L'Aquila si rivede Berlusconi



L'invito a non farsi più vedere naturalmente non è servito. Dopo il sit di alcune centinaia di terremotati davanti alla sede della Camera, Berlusconi si ripresenta in Abruzzo per curare ulteriori dettagli in vista del G8 e fare il punto della situazione sulla ricostruzione. In attesa che il decreto salva Abruzzo passi l'esame del Parlamento. Slitterà infatti alla prossima settimana, probabilmente martedì, il voto finale del dl su tempi, modi e finanziamenti da stanziare per la ricostruzione nelle zone terremotate.
Il ritorno del premier a L'Aquila non è sfuggito al centrosinistra, che ha delegato a Massimo D'Alema l'attacco più duro: "Vada a sentire i terremotati dell'Aquila che ha usato come spot. Quando il presidente del Consiglio va all'Aquila a fare promesse ci sono le telecamere. Quando invece vanno a manifestare perché quelle promesse non vengono mantenute le telecamere non ci sono e il Tg1 le oscura".
Il presenzialismo del premier e il super lavoro della protezione non sono bastati a evitare le prime
crepe nel consenso all'azione di governo. E neanche il colpo di scena del G8 a L'Aquila. Né tantomeno il successo plebiscitario del Pdl alle Europee e alle Amministrative. Due mesi e mezzo
dopo il terremoto che nella notte tra il 5 e 6 aprile lasciò sotto le macerie duecento morti e una ricostruzione difficile, arriva il momento della protesta. La calura romana è niente rispetto agli ultimi due mesi passate nelle tendopoli (sono oltre 55mila gli sfollati alloggiati nelle tendopoli, case
privati, alberghi e campeggi). Amministratori e comuni cittadini temono che alle promesse personali di Berlusconi faccia seguito il solito balletto all'italiana: risorse col contagocce, ricostruzione lenta, corruttela. Al grido di "buffoni, buffoni" alcune centinaia di persone hanno manifestato davanti la sede della Camera dei Deputati. Sotto accusa, il decreto "salva Abruzzo" in
discussione a Montecitorio. Dal governo, solo promesse, spiegano, e poche sicurezze sui finanziamenti. Molti edifici dei piccoli paesi sono seconde case. Se non arrivano soldi per la ricostruzione, temono i sindaci, quei centri diventeranno dei veri e propri paesi fantasma ''A Berlusconi chiediamo di mantenere le promesse fatte ai cittadini terremotati abruzzesi il 29 maggio all'Aquila", dice Stefania Pezzopane, presidente della Provincia de L'Aquila. "Questo significa che il decreto sull'Abruzzo deve cambiare, per consentire una ricostruzione rapida in tutti
i centri storici, prevedendo contestualmente anche un indennizzo per le ristrutturazioni, e non solo per i residenti". Pezzopane chiede "interventi decisi" per le attività produttive ed economiche nelle zone colpite dal sisma: ''Sono molte al momento le imprese che hanno subito forti contraccolpi economici fuori e dentro dal cratere, per le quali invece bisognerebbe prevedere un contributo finanziario opportuno per favorire una loro ripartenza".


Abruzzo, sarà un Natale in tendopoli


«Casette a settembre? Ma chi sei, Megggaiver!!!». Bruno ha 23 anni, è un aquilano doc da due mesi senza casa e oggi, in piedi davanti a Montecitorio, racconta con questo cartello la sua rabbia.
MacGyver, il ragazzo dalle mille risorse, era il suo eroe TV, quello che realizzava sogni e risolveva
guai. Secondo Bruno solo MacGyver, al massimo della forma, potrebbe consegnare le “famose” casette ai terremotati d’Abruzzo. Figurarsi Berlusconi, o Bertolaso, che al suo eroe non assomigliano neanche un po’.
Si smonta, finisce in pezzi un’altra, forse la più importante delle promesse-certezze del premier. «Il 15 settembre consegneremo le prime case, a novembre nessuno sarà più in tenda» ha ripetuto
Berlusconi nella sue tredici visite all’Aquila. Falso. Non vero. Anzi, mai stato vero. La verità è che
sarà un Natale in tenda. O in albergo, viste le temperature nell’altopiano dell’Aquila, Non lo dicono i soliti calcoli a spanna dei soliti disfattisti criticoni. Lo dice, da sempre, anzi lo documenta da maggio, il «CRONOPROGRAMMA GENERALE», la tabella di marcia, giorno per giorno, capitolo per capitolo, del rivoluzionario progetto C.A.S.E che sta per Complessi antisismici Sostenibili Ecocompatibili, le famose casette che dovranno diventare un tetto per circa quindicimila sfollati. E’ anche l’unico capitolo finanziato nel decreto con 530 milioni di euro.
Il Cronoprogramma consegnato dalla Protezione Civile e vistato dal governo a maggio dice chiaramente che le case saranno consegnate a fine dicembre comprese arredi e collaudi. Come se
dopo otto mesi di campeggio forzato uno potesse ancora andare a vivere in modo precario. Tutto
questo sempre che due voci cardine del Cronoprogramma, «realizzazione degli alloggi» e «opere di urbanizzazione» (fogne, allacci gas e luce, strade di accesso), prendano il via tra la prima e la seconda settimana di luglio. In pieno G8. Difficile immaginare ruspe e camion in giro per l’Aquila,
che ha due strade, mentre nella caserma di Coppito si riuniscono i grandi della terra.
«Il problema - racconta un funzionario della Protezione Civile - è che tutto il Cronoprogramma è
già saltato perchè le opere di cantierizzazione dovevano cominciare il 10 di maggio. Siamo al 16
giugno e mi risultano avviate, da circa dieci giorni, solo a Bazzano e Ocre. Un ritardo normale di
fronte a un intervento di questo genere». Il fatto è che da questo ritardo (la cantierizzazione), ne
derivano altri. E’ l’effetto domino. «Le operazioni di scavo, fondazioni e messa in posa delle piastre
dovevano cominciare, secondo Cronoprogramma, il 25 maggio ma non sono ancora cominciate».
Certo, magari sarà anche possibile consegnare un pugno di case a settembre, facendo lavorare gli
operai giorno e notte. Ma sarà una goccia rispetto alle venti aree, attualmente zone di campagna,
che devono diventare villaggi autonomi con scuole e farmacie e negozi. Anche sindaco e presidente della Provincia non ci credono più. «Purtroppo - dicono Cialente e Pezzopane ricevuti ieri alla Camera dal presidente Fini mentre in aula veniva discusso il decreto e fuori duemila aquilani urlavano «basta bugie» - le casette non saranno pronte per settembre. Si parla di ottobre, forse, più facile dicembre».
«Berluscò, non te fare revedè a l’Aquila» si leggeva ieri su uno dei tanti cartelli. Ci torna oggi.
Dopo l’approvazione definitiva del decreto. Che garantisce solo 5 mila casette, un po’ di gratta e
vinci, rinvia negli anni la ricostruzione del centro storico e non prevede risarcimenti a chi non è
residente, una ricostruzione groviera visto che il 40 per cento delle abitazioni sono di aquilani che
vivono altrove. Soprattutto non dice nulla a piccoli commercianti e medie imprese che erano il
tessuto della città e ora non sanno più cosa sono.

articoli tratti: da L'Unità

giovedì 11 giugno 2009

Intervista a Enrico Berlinguer «I partiti sono diventati macchine di potere» «I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer.


La passione è finita?

Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.

È quello che io penso.

Per quale motivo?

I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.

Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.

E secondo lei non corrisponde alla situazione?

Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.

La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.

Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.

In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.

Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?

Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?

Veniamo alla seconda diversità.

Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.

Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.

Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.

Non voi soltanto.

È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?

Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.

Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.

Dunque, siete un partito socialista serio...

...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...

Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?

No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.

Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?

Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.

Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?

La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.

Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?

Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.

Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...

Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.

E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?

Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.

«La Repubblica», 28 luglio 1981

lunedì 8 giugno 2009

GRAZIE A TUTTI GLI ELETTORI


Il circolo del Partito Democratico di Capistrello ringrazia tutti gli elettori per la riconfermata fiducia che attraverso il loro voto di preferenza, se si esclude la candidatura civetta di Berlusconi, inutile ai fini del parlamento europeo, ha espresso il primo dei candidati con l’On. Andrea LOSCO

Il marcato astensionismo, superiore a quello delle scorse regionali, è indice della profonda crisi di credibilità di chi ha fino ad oggi rappresentato il nostro paese attraverso un’irresponsabile gestione che ha portato al commissariamento di cui i cittadini oggi pagano le spese.

In futuro, sarà necessario, scegliere proposte trasparenti e coerenti con le aspettative di una comunità esigente che merita la stessa attenzione con la quale esprime la propria valutazione sulle attitudini, le competenze e la coerenza di chi si sottopone al suo giudizio.

Il Partito Democratico si assume la responsabilità di proporre al nostro paese una via d’uscita che sarà forte e credibile nella misura in cui chi ne sarà portatore avrà la capacità di rappresentare la voglia di quel cambiamento che solo attraverso un nuovo modo di fare politica potrà essere realizzato.

Grazie di cuore a tutti.


Circolo Partito Democratico

Capistrello


venerdì 5 giugno 2009

Elezioni europee: come si vota



Data del voto - Per le elezioni europee si vota sabato 6 giugno dalle ore 15 alle 22 e domenica 7 giugno dalle ore 7 alle 22.
Per tutti i 27 Stati dell’Ue lo spoglio delle schede inizierà al termine delle operazioni di voto domenica 7 giugno alle ore 22.

Sistema di voto ed età per esercitare il diritto di voto - In ogni Paese si voterà con il sistema proporzionale. In Italia è previsto lo sbarramento: potranno eleggere eurodeputati solo quei partiti che, su base nazionale, avranno superato lo sbarramento del 4%. Per essere eletti occorre aver compiuto 25 anni il giorno del voto. In Italia possono votare tutti i cittadini che nel giorno delle votazioni hanno compiuto 18 anni.

Cittadini italiani residenti all'estero - Gli elettori italiani che risiedono in uno dei paesi dell'Ue potranno votare nel paese di residenza per i candidati di quel paese. Oppure, nei consolati, per i candidati italiani (il 5 e 6 giugno). In quest'ultimo caso però sarà necessario presentare entro il 19 marzo apposita domanda al proprio Comune italiano di residenza. Possono votare in Italia anche i cittadini delle altre nazioni Ue che abbiano fatto richiesta entro i termini previsti della legge (tre mesi prima). I residenti nei paesi extra-europei (dipendenti pubblici, professori universitari e ricercatori temporaneamente fuori sede per motivi di servizio e i militari in missioni internazionali) possono votare solo se hanno presentato entro il 3 maggio apposita domanda. Il voto in questo caso avviene per corrispondenza.

Chi può essere eletto - Possono essere votati ma non possono essere eletti all’Europarlamento (a meno che una volta eletti non lascino la carica che ora ricoprono) senatori e deputati, membri del governo, presidenti, assessori e consiglieri regionali, presidenti di provincia, sindaci di Comuni con più di 15 mila abitanti.

In Italia 5 circoscrizioni - Le circoscrizioni italiane: Nord-Ovest (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia), Nord-Est (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna), Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria) e Isole (Sicilia e Sardegna). Differente il colore delle schede: grigio per il Nord-Ovest, marrone per il Nord-Est, rosso per il Centro, arancione per il Sud, rosa per le Isole. I seggi: al Nord-ovest 19 eurodeputati, 13 nel Nord-Est, 14 al Centro, 18 al Sud, 8 nelle Isole.
Gli eurodeputati - All’Italia spettano 72 eurodeputati, sei in meno rispetto al 2004 per lasciare spazio alle neoentrate Romania e Bulgaria e non superare il tetto di 736 eurodeputati complessivi. Quando entrerà in vigore il Trattato di Lisbona, l’Italia avrà un eurodeputato in più. Il numero varia a seconda della popolazione. Malta ne eleggerà solo 5, Cipro, Lussemburgo ed Estonia 6, Slovenia 7. La Germania, il Paese che ne ha di più, ne eleggerà 99, mentre Francia, Italia e Gran Bretagna 72. Spagna e Polonia 50.

Quando si insedierà il Parlamento europeo - La sessione inaugurale del nuovo Parlamento Ue si terrà a Strasburgo dal 14 al 16 luglio. In quell'occasione gli eurodeputati eleggeranno il loro presidente. I conservatori, dati come favoriti alle elezioni, hanno già espresso i loro candidati: l'attuale vicepresidente del Parlamento Ue, Mario Mauro (Pdl) e il polacco Jerzy Buzek. La nuova Assemblea dovrà poi esprimersi sul nome del presidente della prossima Commissione Ue, che sarà indicato dai leader dei 27 a fine giugno. L'attuale presidente, il portoghese José Manuel Barroso, è dato come favorito.
Come si vota - Preferenze: il voto di lista si esprime tracciando sulla scheda, con la matita copiativa, un segno sul contrassegno corrispondente alla lista prescelta. I voti di preferenza − nel numero massimo di tre, tranne che per le liste di minoranza linguistica collegate ad altra lista per le quali può esprimersi una sola preferenza − si esprimono scrivendo nelle apposite righe, tracciate a fianco e nel rettangolo contenente il contrassegno della lista votata, il nome e cognome o solo il cognome dei candidati preferiti, compresi nella lista medesima; in caso di identità di cognome tra candidati, deve scriversi sempre il nome e cognome e, ove occorra, data e luogo di nascita.
Al momento gli elettori sono 50.664.596, di cui 26.231.876 donne e 24.432.720 uomini, ma l’ultima revisione sarà effettuata il 3 giugno. Le sezioni elettorali sono 61.225. Per votare occorre esibire alla sezione elettorale in cui si è iscritti un documento di identità valido e la tessera elettorale. Chi l’ha smarrita può richiederla agli uffici del proprio Comune che saranno aperti durante tutto l’orario di votazione.


Richiesta di dissesto finanziario

CAPISTRELLO. Dichiarare immediatamente il dissesto finanziario del Comune di Capistrello. E’ quanto chiede l’ex consigliere comunale Giuseppe Salustri in una lettera inviata al commissario del Comune di Capistrello Franca Ferraro, al vice commissario Angelo Polito e al segretario comunale Rocco Cocuzzoli.
La richiesta di Salustri si ricollega agli atti del decaduto assessore al bilancio Meco, che prima della caduta dell’amministrazione propose di dichiarare il dissesto finanziario, proposta poi non accolta dal sindaco Scatena. Inoltre, secondo Salustri, la dichiarazione di dissesto finanziario permetterebbe al Comune di tornare a una sana e trasparente gestione della cosa pubblica. «Un numero sempre crescente di cittadini e diversi ex amministratori qualificati», dice l’ex consigliere «si sono espressi, negli ultimi giorni, a favore della soluzione auspicata dal sottoscritto onde porre fine a una “sopravvivenza asfittica” del nostro Ente ed evitare futuri ricorsi ai ministri dell’Interno e dell’Economia».

tratto da : Il Centro 05.06.09

mercoledì 3 giugno 2009

Capistrello ricorda i martiri


CAPISTRELLO. Hanno commemorato due ricorrenze in un sol giorno i cittadini di Capistrello: la festa della Repubblica e l’eccidio dei trentatré martiri. Il commissario prefettizio Franca Ferraro infatti, dopo le polemiche nate all’indomani della sbrigativa manifestazione del 25 Aprile, ha voluto organizzare un nuovo appuntamento e rendere omaggio alle vittime dell’eccidio nazista. In tanti hanno partecipato alle celebrazioni. Tra la folla anche molti studenti. Dopo aver letto il messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ed aver spiegato ai ragazzi il significato dello stemma della Repubblica, il commissario si è rivolto ai presenti, tra cui c’erano anche il senatore Luigi Lusi, i parenti dei martiri e le associazioni locali, e con un iniziale imbarazzo ha ricordato il tragico eccidio del 4 giugno 1944. «Ho letto, mi sono documentata, ma non sono in grado di poter dire qualcosa e per questo mi affido alle parole di persone autorevoli che hanno trattato magistralmente l’argomento». Il commissario Ferraro ha letto sia il messaggi che il presidente Ciampi scrisse quando consegnò la medaglia d’oro al Merito civile, sia un passo di Romolo Liberale nel quale viene ricordato il giorno dell’eccidio. Un pensiero poi il commissario ad acta lo ha rivolto ai parenti delle vittime dicendo: «Vi capisco e vi sono vicino perché come voi, neanche io pensavo di poter perdere amici, parenti, casa e lavoro eppure il terremoto mi ha portato via tutto questo». Altra voce della commemorazione è stata Eleonora, alunna della scuola media di Capistrello che ha letto un messaggio di pace e speranza. Ad Avezzano il due giugno è stato ricordato con un corteo che da piazza Matteotti è giunto fino in piazza della Repubblica e con la tradizionale deposizione della corona d’alloro al monumento ai caduti del mare e di tutte le guerre. «I padri della Repubblica sono riusciti a spogliarsi dell’appartenenza politica, hanno saputo farlo, anche se con qualche difficoltà», ha spiegato nel suo intervento il sindaco di Avezzano Antonio Floris «sedendosi attorno a un tavolo e realizzando qualcosa di grande. In questo periodo in Italia non mi pare si parli di cose serie, se si deve andare avanti bisogna farlo con quella serietà e quel senso di responsabilità per le azioni che si svolgono e per le decisioni che si prendono». La festa della Repubblica è stata commemorata anche a Morrea, frazione di San Vincenzo Valle Roveto, con la consegna da parte del sindaco Carlo Rossi di una copia della Costituzione a tutti i diciottenni del paese e con la presentazione del libro “Veritatem libere servio” di Romolo Liberale.

Eleonora Berardinetti

tratto da : Il Centro 03.05.09