Circolo Partito Democratico - Capistrello (Aq)

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martedì 28 ottobre 2008

Cassa e Precari . Emergenza Nazionale


Pongo all'attenzione di tutti Voi che frequentate e seguite questo blog , un' interessante articolo uscito su "La Stampa" di oggi a firma di P.Garibaldi.
Nell'articolo si evidenzia come le preoccupazioni di tecnici e politici in merito alla crisi finanziaria si stiano spostando (e aggiungo io speriamo!) dalla finanza, all'economia reale.
Ma quali sono le proposte della Politica per limitare i danni ?

In Abruzzo, come del resto oramai in tutta Italia non passa giorno senza leggere sui quotidiani locali di qualche azienda grande o piccola che sia, che fa ricorso alla CIG, se non addirittura nel peggiore dei casi di chiusure e fallimenti.
Si vanno disegnando quindi, scenari poco incoraggianti per l'Italico paese ma nell'asettica drammaticità delle cifre, nessuno sembra voglia contare anche tutte quelle migliaia di lavoratori precari che, in queste fasi di crisi mercato perdono il lavoro senza avere un minimo di sussidio che gli permetta di tamponare l'immediata perdita del lavoro.
Sono, uomini e donne, apparentemente senza nome e senza volto, che non rientrano neanche nei conteggi statistici; eppure queste persone, non sono così lontane da noi, forse le conosciamo molto bene, amici, fratelli, mogli, fidanzate.

Proprio nella Marsica, assistiamo inermi alle decine di contratti precari che lavoravano in note aziende del nucleo industriale una tra tutte la Micron Tec. di Avezzano (una delle più grosse aziende della regione) "costrette" dalla crisi finanziaria e dei mercati a licenziare e quindi, mandare a casa senza più un lavoro decine di lavoratori precari -
se sono fortunati, alcuni di loro potranno far ricorso all'indennità di disoccupazione, ma per molti purtroppo non c'è neppure quella.
Ha ragione allora P.Garibaldi nel suo articolo, a dire che una legge degli ammortizzatori sociali dovrebbe essere all'ordine del giorno dell'agenda di governo "...l’Italia ha urgente bisogno di introdurre un sussidio unico di disoccupazione a cui si accede indipendentemente dal tipo di contratto con cui si è stati impiegati". E allora cosa stiamo aspettando?

Bisegna Augusto

Tra Cassa e precari

Mentre la Borsa continua a crollare, le preoccupazioni di tecnici e politici si spostano sull’economia reale.
Dai mercati finanziari la crisi è infatti destinata a colpire le decisioni di imprese, consumatori e lavoratori.
I primi segnali di crisi sono già evidenti, come testimoniato dal calo della produzione industriale e della forte riduzione della fiducia dei consumatori.
Il repentino aumento del numero di imprese che accedono alla cassa integrazione, denunciato in questi giorni anche dal sindacato, rappresenta un ulteriore e significativo campanello d’allarme. Tra qualche mese inizieranno a vedersi i primi licenziamenti.
Una priorità quasi assoluta dovrebbe quindi essere quella di riordinare gli ammortizzatori sociali.

Con l’arrivo dei licenziamenti, i primi a essere colpiti saranno i circa quattro milioni di lavoratori precari. È inevitabile.
Quando un contratto è a tempo determinato, per interrompere un rapporto di lavoro non è necessario passare per il licenziamento. È sufficiente che un’impresa non rinnovi il contratto alla scadenza. Lo stesso discorso, addirittura amplificato, si applica ai lavoratori impiegati con un contratto a progetto.

Paradossalmente, i lavoratori che saranno più colpiti dall’arrivo della crisi appartengono a quella crescente fascia di lavoratori che già oggi hanno una retribuzione inferiore alla media e che non hanno accesso a ferie pagate e a maternità. Tutelare questi lavoratori dovrebbe essere una priorità. I lavoratori a tempo indeterminato delle grandi imprese sono in larga parte coperti. In caso di crisi aziendale, da una grande impresa si accede alla cassa integrazione straordinaria e, nel caso di licenziamento, si accede alle liste di mobilità, con protezione al reddito fino a tre anni. I sette anni di sostegno al reddito promessi ai lavoratori in esubero di Alitalia sono ancora sotto gli occhi di tutti.
Certamente le risorse a disposizione del governo sono poche. È comprensibile che il ministro Sacconi cerchi di rifinanziare la cassa integrazione straordinaria e i cosiddetti settori in deroga (quei settori industriali che il Ministero ritiene di dover proteggere). È anche comprensibile che il segretario della Cgil Guglielmo Epifani ricordi le poche risorse a disposizione della cassa integrazione (ma al tempo stesso non dovrebbe dimenticarsi dei lavoratori precari). Nel Paese circa 4 milioni di lavoratori rischiano di diventare dei disoccupati senza alcuna forma di sostegno, o con al più un sussidio di disoccupazione ordinario inferiore a sei mesi.
Non possiamo affrontare la recessione in arrivo con disoccupati di serie A e disoccupati di serie B, dove soltanto ai primi è concesso il privilegio di un sostegno al reddito.
Il riordino degli ammortizzatori sociali dovrebbe quindi essere al centro dell’azione del governo. Agendo ora si può arrivare preparati in primavera, quando inevitabilmente arriveranno i primi licenziamenti.
La legge delega per riformare gli ammortizzatori sociali esiste già e potrebbe diventare esecutiva in tempi brevi. L’Italia ha urgente bisogno di introdurre un sussidio unico di disoccupazione a cui si accede indipendentemente dal tipo di contratto con cui si è stati impiegati.
Questo nuovo istituto dovrebbe ovviamente essere finanziato dai contributi versati da tutti i tipi di contratto, inclusi quelli a tempo determinato e a progetto.
Si dovrebbe poi introdurre anche un meccanismo di bonus-malus, in modo da aumentare i contributi al fondo di disoccupazione per quelle imprese che lo utilizzano maggiormente. Si potrebbe inoltre anche decidere di aumentare i contributi assicurativi alle imprese che utilizzano i contratti a termine, in modo da disincentivarne l’uso generalizzato.

Battersi per riforme di questo tipo giustificherebbe manifestazioni e cortei.
Se ne parla invece pochissimo, forse semplicemente perché i lavoratori precari sono poco organizzati e poco a contatto con Partiti politici e sindacati confederali.


di Pietro Garibaldi

Tratto da: La Stampa 28.10.2008


sabato 25 ottobre 2008

La Giunta Scatena fa le valigie e torna a casa


A 30 mesi dal suo insediamento, l’amministrazione Scatena fa le valige e torna a casa.
Nelle dichiarazioni rituali dettate alla stampa l’ex sindaco se la prende un po con tutti nell’intima convinzione di non doversi rimproverare null’altro che la stessa cattiva sorte toccata alla propria consorte, eletta Sindaco nel 1995 e dimessasi per decisione propria dopo appena 16 mesi.
In realtà è bene ricordare, che erano almeno 30 anni che a Capistrello non succedeva che un sindaco venisse messo in minoranza dalla propria coalizione e costretto per tale ragione a gettare la spugna.
Riflettere su quanto profonde siano state le contrapposizioni interne alla maggioranza, mai in grado in due anni e mezzo, di dare una rotta alla propria azione amministrativa è ormai inutile, ma, al di là delle evidenti responsabilità, quando un’amministrazione cessa anzitempo il proprio mandato, i primi a subirne le conseguenze negative sono indistintamente i cittadini.
Ciò, oltre a rappresentare un danno enorme per tutti, diventa anche una solenne sconfitta per chi non ha saputo o voluto rappresentare la politica in termini più alti.
Personalmente non sono interessato ad analizzare le cause e le motivazioni, tutte interne alla maggioranza, che hanno determinato l’epilogo di giovedì 23 ottobre. Giovedì sera è andato in scena l'ultimo atto di una tragicomica rappresentazione della politica che solo per senso di rispetto verso i protagonisti coinvolti definisco mediocre, ma tuttavia, non ho potuto fare a meno di cogliere l'aspetto sublime di emozioni finalmente vere; quelle che cavalcano il nervosismo di parole e frasi attraversate dalla tensione di chi è giunto ormai alla resa dei conti.
Ed è solo amarezza ciò che ho provato, quando dopo il voto, il Sindaco si è alzato e, senza dire nulla, ha guadagnato lesto l’uscita della sala consiliare portandosi dietro la sincera delusione dell’uomo ferito che però sa accettare la sconfitta.

Alfio Di Battista

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Capistrello, critiche di Scatena alla maggioranza

Si dimette il sindaco Arriva il commissario


Da: IL CENTRO 25 ottobre 2008 pag.16

CAPISTRELLO. Alberto Scatena (An), si dimette da sindaco e lancia accuse contro la maggioranza che in questi due anni lo ha sostenuto. Giovedì, durante la votazione per l’approvazione del bilancio in consiglio comunale, Scatena e i suoi fedelissimi, sette in tutto, sono stati messi in minoranza dai voti dell’opposizione e di Forza Italia, in totale otto, e dall’astensione dei due rappresentanti dell’Udc. Dopo due anni e mezzo «di duro lavoro e di risanamento», come ha detto in una conferenza stampa, il sindaco va a casa e al suo posto arriva un commissario che guiderà il Comune fino alle prossime elezioni che si terranno, presumibilmente, in primavera.
Ma a bruciare a Scatena non è solo quest’ultimo colpo di grazia sferratogli dai componenti del suo stesso gruppo, bensì il dover accettare che «la serietà e la correttezza non sono bene accette nel suo Comune».
«Sono entrato a testa alta, pronto a cambiare le sorti di un paese da sempre caratterizzato da faide opposte e da denunce», ha spiegato Scatena, «ho lavorato tra mille difficoltà, sia per la situazione economico-finanziaria del Comune, che ha un debito fuori bilancio di un milione di euro, sia per i continui attacchi dell’opposizione, ma sono andato avanti stando in mezzo alla gente, che io reputo il mio unico giudice, e ascoltando i loro bisogni e le loro critiche». Purtroppo però», conclude Scatena, «la sorte si ripete e, come successe a mia moglie nel 1995 dopo 16 mesi di legislatura, vado via, orgoglioso di quello che ho fatto e fiero del lavoro dei miei stretti collaboratori che ringrazio». (e.b.)

venerdì 24 ottobre 2008

Firma per Roberto Saviano



“Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma…” (
Leonardo Sciascia)

Così scriveva L. Sciascia ne "Il giorno della Civetta" nel 1961, Saviano con la sua opera, Gomorra ha messo il luce come la linea di palma della camorra vada ben oltre quello che immaginava Sciascia per la mafia siciliana, oltre Roma e oltre i confini nazionali. Saviano con la sua opera ha fatto conoscere a tutti nel mondo la camorra e come il malaffare tentacolare camorristico impregni oramai il tessuto sociale fino al midollo, in ogni dove, dalla politica, alle istituzioni, all'economia .
Approfittiamo dello spazio offerto dal nostro blog per esprimere la nostra solidarietà e dare la nostra piccola voce all'iniziativa del giornale La Repubblica firma anche TU per Roberto.

Augusto Bisegna

da: La Repubblica on-line

Roberto Saviano è minacciato di morte dalla camorra, per aver denunciato le sue azioni criminali in un libro - "Gomorra" - tradotto e letto in tutto il mondo. E' minacciata la sua libertà, la sua autonomia di scrittore, la possibilità di incontrare la sua famiglia, di avere una vita sociale, di prendere parte alla vita pubblica, di muoversi nel suo Paese. Un giovane scrittore, colpevole di aver indagato il crimine organizzato svelando le sue tecniche e la sua struttura, è costretto a una vita clandestina, nascosta, mentre i capi della camorra dal carcere continuano a inviare messaggi di morte, intimandogli di non scrivere sul suo giornale, "Repubblica", e di tacere.

Lo Stato deve fare ogni sforzo per proteggerlo e per sconfiggere la camorra. Ma il caso Saviano non è soltanto un problema di polizia. E' un problema di democrazia. La libertà nella sicurezza di Saviano riguarda noi tutti, come cittadini.
Con questa firma vogliamo farcene carico, impegnando noi stessi mentre chiamiamo lo Stato alla sua responsabilità, perché è intollerabile che tutto questo possa accadere in Europa e nel 2008.

Clicca quì e Firma anche TU

mercoledì 22 ottobre 2008

Sciopero generale dell'Università' e Ricerca 14 novebre 2008

Riceviamo con preghiera della più ampia diffusione i contenuti della piattaforma programmatica di protesta elaborati dai principali sindacati e associazioni dei lavoratori della ricerca, pubblichiamo con piacere .



L'Università italiana ha perso il prestigio di cui godeva nella società italiana. Ha perso la capacità di favorire mobilità sociale e di creare la classe dirigente della Repubblica.
Il Governo non pone freno alla cattiva gestione e non sanziona le clientele e il nepotismo. Neanche favorisce il riconoscimento del merito riformando i meccanismi di reclutamento e progressione di carriera. Non limita i Regni dei nostri Rettori, neanche indaga sulle Facoltà scandalo di Parentopoli.
Il Governo molto semplicemente taglia risorse e posti di lavoro.
A farne le spese soprattutto i ricercatori non strutturati le cui tanto attese prese di servizio e i cui concorsi saranno decimati secondo chissà quale criterio.
Il rapporto docenti studenti è già insostenibile e peggiorerà. I salari già più bassi (nominalmente ma soprattutto in termini reali) dei colleghi europei scenderanno ancora.
Gli studenti si sono accorti di questo declino e sempre più spesso migrano verso università non statali o all'estero.
Probabilmente è già troppo tardi. Per festeggiare insieme la fine di un'epoca, la fine di una missione pubblica, sfiliamo insieme il 14 novembre. Per un'ultima volta.


Per difendere e cambiare l'Universita'

PIATTAFORMA PROGRAMMATICA PER L'UNIVERSITA' ITALIANA


Proposta da

Associazione Docenti Universitari (ADU)
Associazione Dottorandi Italiani (ADI)
Associazione Nazionale Docenti Universitari (ANDU)
Associazione Professionale Universitaria (APU)
CISAL Universita'
CISL Universita'
Comitato Nazionale Universitario (CNU)
Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari (CNRU)
FLC CGIL
Rete Nazionale Ricercatori Precari (RNRP)
Sindacato Universitario Nazionale (SUN)
UIL P.A.-U.R. AFAM
Unione degli Universitari (UDU)

I recenti provvedimenti legislativi e quelli annunciati, se non abrogati e bloccati, determineranno la definitiva scomparsa dell'Universita'' pubblica, mutandone radicalmente la natura, la missione, le finalita' e l'assetto. Un'Universita' alla quale la nostra Costituzione assicura autonomia e liberta' di ricerca e di insegnamento.
Le sottoscritte Organizzazioni ed Associazioni della docenza universitaria, dei ricercatori precari, dei dottorandi e degli studenti nel respingere fermamente le scelte di fondo che ispirano tali provvedimenti, intendono riproporre a tutti gli interlocutori, a cominciare dal Governo, un quadro di interventi alternativi che affrontino le criticita' evidenti del sistema, valorizzino le risorse presenti, sollecitino la crescita della qualita' della didattica e della ricerca, e consentano all'Universita' italiana di svolgere quel ruolo sociale di promozione della cultura e
dell'innovazione di cui il Paese ha enorme bisogno.

I valori fondanti

Noi crediamo che qualsiasi intervento non possa prescindere dal rigoroso rispetto di alcuni valori fondativi che rappresentano la parte migliore della storia e dell'esperienza dell'Universita' italiana, valori che desideriamo sinteticamente ricordare: " la natura pubblica del sistema universitario. Il ruolo dello Stato come erogatore e garante di un sistema di alta formazione e' indispensabile per assicurare le condizioni affinche' l'Universita' resti, ed anzi divenga sempre piu', elemento centrale del sistema di welfare. E' compito del sistema pubblico garantire parita' di condizioni universali nell'accesso all'Universita', assicurare la qualita' dell'offerta didattica, e per
questa via ripristinare una mobilita' sociale che appare ridotta, presidiare la ricerca in tutti i campi, anche quelli che, pur dotati di alto valore culturale e scientifico, non presentano possibilita' di valorizzazione economica immediata, garantire la liberta' didattica e di ricerca costituzionalmente sancita.
Va inoltre assicurato il carattere unitario del Sistema nazionale universitario, dotato di effettiva autonomia, all'interno del quale deve essere garantita l'autonomia dei singoli Atenei. Il ruolo del privato rappresenta un'utile integrazione, uno stimolo ed una risorsa, che deve avere tuttavia carattere complementare al mantenimento di un forte, prevalente sistema pubblico di Atenei. La
stessa idea di autonomia, che e' autonomia del sistema ed autonomia dei singoli Atenei, si tiene nella misura in cui il riferimento concettuale e' ad un sistema nazionale pubblico.
" il ruolo sociale del sistema universitario, ruolo che si estrinseca in un rapporto trasparente tra la domanda sociale, il concreto funzionamento degli Atenei e la loro capacita' di dare risposte sulla base di un misurabile rapporto costi-benefici, da rendere visibile attraverso una congrua valutazione del sistema e delle sue singole articolazioni (Atenei, Facolta', Dipartimenti, progetti di ricerca, percorsi formativi).
" la natura cooperativa e partecipata del sistema universitario.
L'Universita' deve rappresentare il modello di una comunita' di pari, libera da gerarchie formali e sostanziali, capace di autogovernarsi perche' fondata su una salda cultura democratica della responsabilita' individuale e collettiva. Una comunita' che si fonda sulla libera circolazione dei
saperi e su una virtuosa competizione di meriti scientifici.

Ogni provvedimento di riforma deve misurarsi con questi valori fondanti e con la natura laica e razionale dell'Universita'. Siamo perfettamente consapevoli della distanza che separa oggi l'Universita' dalla compiuta realizzazione di un modello ideale: l'Universita' italiana e' in condizioni
difficili, in parte prodotte dal contesto politico-istituzionale, in parte da una distorta applicazione dell'autonomia la cui responsabilita' e' da imputare al ceto accademico. E' tuttavia nostra convinzione che non vi sia riforma possibile che non muova dall'affrontare i nodi ed i valori che
dovrebbero sostenerne il modello.
Nei provvedimenti di Governo vediamo invece disegnarsi una prospettiva di liquidazione del ruolo pubblico ed un sistema universitario sempre piu' impoverito sul piano finanziario e, soprattutto, sul piano delle risorse intellettuali ed umane. Un sistema che nel giro di pochi anni compira' fino in fondo una parabola discendente che portera' ad una condizione di paralisi e di irrilevanza istituzionale.
Per queste ragioni proponiamo un programma che muove da quelli che a noi appaiono i veri nodi del sistema universitario. Chiediamo al Governo di fermare gli iter legislativi in corso, di abrogare gli art. 16 e 66 della L. 133/2008, e di aprire un confronto autentico con tutti i soggetti
coinvolti ed interessati.

1) Il sistema di finanziamento

Il settore della conoscenza deve essere considerato una risorsa strategica del Paese. I finanziamenti devono essere pertanto adeguati a questo compito. La valutazione dell'utilizzo di questi finanziamenti deve essere effettuata a partire dalle ricadute sull'intero sistema Paese.
Utilizzare gli Atenei per fare cassa non e' l'approccio migliore ad una discussione seria sulle necessita' del finanziamento e sulla qualita' della spesa.
Occorre partire da un dato incontrovertibile: qualunque indicatore venga assunto, il sistema italiano e' largamente sottofinanziato, ed in queste condizioni ogni ragionamento credibile sulla qualita' e' pura poesia.
Se si realizza il taglio ulteriore di un 25% in termini reali nei prossimi quattro anni, come prevede la L. 133, si entra in una condizione di bancarotta degli Atenei, anche quelli che oggi si considerano "virtuosi".
Occorre invece partire da:
a) una previsione pluriennale di crescita del finanziamento che avvicini il nostro Paese alla media OCSE
b) una rimodulazione delle regole della distribuzione del FFO che valorizzi indicatori credibili di crescita della qualita' dei servizi e delle prestazioni dei singoli Atenei, e su di essi distribuisca le risorse evitando di incentivare comportamenti perversi (la caccia all'iscritto o le promozioni facili). Un finanziamento cosi' rivisto esplicherebbe inoltre la sua piena funzione se, riconoscendo che le universita' possono vivere solo nel binomio inscindibile di attivita' di didattica e di ricerca, si osservasse che tali requisiti non vengono attualmente rispettati in tutti gli Atenei italiani, e si procedesse quindi ad un attento monitoraggio delle loro caratteristiche in maniera tale da porre rimedio a queste situazioni.
c) una rigorosa revisione delle regole di finanziamento dei fondi di progetto, insieme con l'ampliamento degli investimenti a progetto, a cominciare dai PRIN (che quest'anno calano da 160 a 98 milioni)

2) La docenza universitaria

La necessita' primaria del sistema e' costituita dal riavvio di un processo di immissione di giovani che vada ad equilibrare la "gobba" di uscite per pensionamento previste nei prossimi anni. E' esattamente il contrario di quanto previsto dalla L.133, che viceversa blocca sostanzialmente il turn-over. Sempre in virtu' della centralita' strategica dell'universita' l'approccio al turn-over deve essere totalmente ribaltato: a fronte dei pensionamenti il personale docente e tecnico-amministrativo di ruolo deve essere aumentato in modo da rispondere in misura adeguata agli standard europei. E' necessario programmare un'operazione di reclutamento straordinario di consistenti dimensioni, su fondi nazionali aggiuntivi, che consenta di dare una prospettiva alle competenze presenti nell'abnorme area del precariato; e al tempo stesso programmare la ripresa di un reclutamento ordinario che eviti l'andamento disomogeneo per classi di eta', dovuto nel passato agli "sbottigliamenti" legati ad ondate di immissioni concentrate nel tempo.
L'investimento nel reclutamento di giovani e precari puo' essere gestito anche attraverso meccanismi che consentano di utilizzare le risorse derivanti dai pensionamenti, e/o attraverso forme di anticipo delle competenze, da restituire man mano che i costi immediati tendano a riequilibrarsi, prendendo in considerazione preparazione e pregresse attivita' di coloro che possono dimostrare interesse e impegno nella ricerca e nella didattica.
Partendo dalla costatazione che ai fini istituzionali concorrono a pieno titolo gli attuali professori e ricercatori, occorre una revisione profonda delle carriere e del sistema di reclutamento, allo scopo di fornire risposte reali alla crescita scientifica e retributiva dei docenti, all'ingresso e alle prospettive dei giovani, all'enorme serbatoio di precariato prodottosi negli ultimi anni.
Va affermata la unitarieta' della funzione docente; la carriera, che deve essere unica, puo' essere articolata in fasce, scandita da verifiche periodiche che diano luogo alla progressione stipendiale e ai passaggi di fascia, che devono realizzarsi ad esito di valutazioni della qualita' scientifica e didattica del singolo docente.
Va salvaguardata una quota di accessi dall'esterno, attraverso un meccanismo concorsuale, a tutte le fasce, ed abolito lo straordinariato per il passaggio da una fascia all'altra .
Per quanto attiene al reclutamento iniziale, va introdotta una figura post-doc (o attivita' di ricerca assimilabile), con contratto a tempo determinato triennale e retribuzione assimilata al ricercatore, con funzioni esclusive di ricerca.
Quest'approccio richiede la definizione di alcune condizioni di contesto:

a) la fissazione di un rapporto esplicito e credibile tra il numero di coloro che entrano nel percorso triennale e il numero di docenti da reclutare;
b) un'applicazione graduale, che consenta di ridurre il precariato esistente attraverso un consistente reclutamento straordinario;
c) il divieto per gli Atenei, a regime, di utilizzare strumenti diversi dal contratto triennale (atipici, co.co.co., ecc,);
d) la creazione di un meccanismo che faciliti la mobilita' dei docenti fra i diversi Atenei, per esempio rendendo impossibile lo svolgimento della carriera (laurea magistrale (dottorato-postdottorato-docenza) nella stessa sede e fornendo le risorse necessarie a detta mobilita';
e) la distinzione tra il budget destinato al reclutamento e quello dedicato
all'avanzamento di carriera.

3) Il governo dei singoli Atenei e del Sistema nazionale

E' ormai evidente come sia necessario rivisitare l'assetto del governo degli Atenei, caratterizzato da forti differenze legate ai singoli Statuti, ma comunque accomunato da alcuni punti critici: il rapporto spesso clientelare che lega i Rettori al loro elettorato, soprattutto in occasione del rinnovo del mandato; la sovrapposizione e confusione dei ruoli tra Senato e Consiglio di Amministrazione; la composizione degli organi di governo e la loro base elettiva. Noi riteniamo necessario che il mandato rettorale sia unico, e che comunque il mandato non possa essere prolungato tramite successive modifiche di statuto . Che gli Statuti regolino in modo puntuale, sulla base di un quadro normativo nazionale, le competenze degli organi, distinguendo con nettezza l'indirizzo, dal controllo, dalla gestione.
Che si valorizzi il lavoro di gestione della dirigenza amministrativa e dei dipendenti tecnico-amministrativi, riconducendo la docenza alle funzioni sue proprie ed evitando di assegnare ai docenti improprie funzioni di dirigenza. Che si prevedano forme di partecipazione effettiva degli studenti alla vita democratica degli Atenei.
E' indispensabile, infine, prevedere un Organismo di coordinamento nazionale capace di assicurare l'autonomia del Sistema Universitario ed un suo sviluppo organico. Un Organismo non corporativo e non disciplinare, elettivo e rappresentativo della comunita' accademica nazionale, aperto ai contributi del mondo del lavoro e delle imprese, in grado di aiutare a stabilire le priorita' di sviluppo del Sistema Universitario.

4) Il diritto allo studio

L'Universita' dovrebbe svolgere un ruolo di promozione della mobilita' sociale; questa funzione, oggi piu' di ieri, e' un'utopia che rischia di essere ulteriormente compromessa dalla legge 133.
Per garantire che questo avvenga e' necessario che il sistema universitario sia effettivamente accessibile a tutti, indipendentemente dalle condizioni economiche e dal contesto sociale di origine, rimuovendo le barriere, formali e sostanziali, che ostacolano l'accesso e la prosecuzione degli studi.
Il sistema del numero chiuso sta progressivamente estendendosi anche all'accesso alla laurea magistrale, creando un ulteriore sbarramento intermedio; esso esclude gli studenti sulla base di un meccanismo che ha poco a che vedere con la valorizzazione dei piu' meritevoli, e trae spesso
le sue origini dallo scarso investimento economico sulle Universita', che le costringe a limitare il numero delle immatricolazioni in assenza di strutture e di personale docente adeguati. Si deve allora prevedere l'adozione di piani pluriennali di adeguamento, affiancati da un congruo e mirato investimento, che porti progressivamente alla rimozione delle barriere all'accesso. Allo stesso tempo, e' necessario ragionare su un'adeguata valorizzazione del merito degli studenti, che devono essere valutati sulla base dei risultati conseguiti nel corso del loro percorso di
studio.
Il definanziamento del sistema del diritto allo studio e la sua organizzazione tarata su modelli ormai superati (la legge quadro nazionale risale al 1999 e l'ultimo DPCM che regola l'erogazione dei benefici del diritto allo studio al 2001) fanno si' che molti degli studenti idonei in base ai previsti parametri di merito e di reddito non possano di fatto beneficiare dei servizi per il diritto allo studio, e non abbiano la possibilita' di scegliere quale sede e quale corso di laurea frequentare.
E' necessario che gli investimenti statali siano in grado di garantire la copertura totale delle borse di studio, integrando l'offerta con il necessario investimento in mense, alloggi, agevolazioni sui trasporti.
Le differenze di condizione economica di origine portano di per se' a differenze nell'accessibilita' all'offerta culturale, anch'essa componente essenziale della formazione.
Perche' siano garantite pari opportunita' per tutti e' necessario intervenire anche su quest'aspetto con agevolazioni mirate.

5) L'offerta didattica

Il giudizio sul modello 3+2, a distanza di alcuni anni dall'avvi'o, e' un giudizio molto articolato e differenziato tra Atenei e discipline.
I dati quantitativi sembrano indicare notevoli avanzamenti sul fronte della percentuale di successo negli studi, nonche' sui tempi di compimento dei percorsi di laurea. Tuttavia, vanno segnalati elementi di criticita' da affrontare:
a) la percentuale elevata di chi prosegue dopo il triennio indica l'insufficiente consistenza della laurea triennale, sia sul piano culturale sia su quello della preparazione professionale;
b) si rileva in modo diffuso la percezione di una caduta di qualita' dei percorsi: va svolta una riflessione sull'effettivo ruolo dell'Universita', che sta oggi progressivamente licealizzandosi e perdendo il ruolo di elaborazione e formazione culturale;
c) non e' stato colto e valorizzato in modo adeguato il sistema dei crediti, tant'e' che ci sono ancora forti difficolta' nel loro riconoscimento, nel passaggio tra un Ateneo e l'altro, e perfino all'interno dello stesso Ateneo.

Tali aspetti vanno a riferirsi, sia all'architettura del modello, sia all'applicazione che ne e' stata fatta dagli Atenei. Ne' hanno giovato i reiterati interventi legislativi, che hanno parzialmente corretto alcune criticita', ma hanno per altro verso generato confusione e difficolta' applicative. Noi riteniamo che sia necessario un intervento esteso di ricognizione, di ascolto e monitoraggio sistematici: una campagna nazionale di rilevazione, da concludersi con un'iniziativa nazionale che faccia il punto, indichi i punti di sofferenza, individui percorsi di correzione condivisi, prima di procedere a qualsiasi ulteriore intervento di aggiustamento. Non e' piu' possibile procedere alla modifica dell'offerta didattica sulla base di decreti, in cui ogni Ministro dice la sua: va dato un assetto stabile alle Universita', inquadrando l'ordinamento all'interno di una legge ordinaria.

6) La valutazione

Un efficace e credibile sistema di valutazione e' parte essenziale di un processo di revisione degli statuti normativi dell'Universita'.
Valutazione della qualita' del prodotto universitario, del funzionamento di ogni articolazione del sistema. Senza una valutazione che consenta di misurare meriti e difetti in modo puntuale, l'Universita' non sara' in grado di ristabilire una bussola condivisa e condivisibile sul proprio operato.
Il precedente Governo aveva costituito l'Agenzia per la valutazione del sistema universitario e di ricerca (ANVUR), provvedimento a lungo discusso e sul quale avevamo prodotto numerose critiche, a cominciare dalla sua effettiva terzieta' e dalla quantita' di compiti assegnati, per finire con una certa farraginosita' dell'impianto costitutivo. Nonostante i numerosi punti di dubbio e contrarieta', l'ANVUR costituiva tuttavia il primo tentativo sistemico di introdurre una valutazione continua e ricorrente.
L'attuale Governo ne ha congelato la costituzione, e non e' dato sapere se intende riaprire il capitolo. Noi riteniamo necessario riprendere in mano il progetto, verificarne e correggerne i punti di debolezza, e procedere operativamente alla sua costituzione. Va garantita per l'Agenzia la natura di soggetto terzo, problema che sussiste anche all'interno dello schema proposto dal Governo precedente, per evitare strumentalita' e autoreferenzialita' del valutatore. I risultati della valutazione devono essere correlati con l'erogazione delle risorse da parte dello Stato.
Va, infine, assicurato un effettivo coinvolgimento degli studenti nel funzionamento, attribuendo un peso reale al giudizio dei discenti e agli attuali questionari di valutazione.

7) Il dottorato di ricerca

Occorre una riforma del dottorato che riorganizzi i corsi in scuole di dottorato dotate di un progetto formativo, aperte alla dimensione internazionale della ricerca e valutate periodicamente.
Le scuole potrebbero cosi' diventare, nel territorio, agenti di dialogo fra mondo della ricerca universitaria e privata e motori di innovazione.
L'aumento delle borse di dottorato a 1040 euro rappresenta un importante passo avanti nella valorizzazione della formazione alla ricerca.
Si deve pero' superare la figura del dottorando senza borsa, che, oltre a rappresentare una palese ingiustizia, non vede garantita la qualita' del percorso formativo e di ricerca. Occorre pertanto affiancare ai dottorandi a tempo pieno e destinatari di borse di studio una figura di dottorando
lavoratore, che permetta a persone inserite nel mondo del lavoro di rafforzare il proprio profilo professionale e le proprie capacita' di ricerca.
Il dottorato deve essere poi valorizzato e individuato come strumento privilegiato di formazione alla ricerca in vista della carriera accademica, ma anche in relazione al mondo del lavoro, della pubblica amministrazione, delle professioni.
Deve infine essere approvata, a partire dalla Carta Europea dei Ricercatori, una carta dei dottorandi, che riconosca loro i diritti legati al loro doppio status di studenti del terzo ciclo di formazione superiore e di giovani ricercatori.

Roma, 20 ottobre 2008

martedì 21 ottobre 2008


Ieri ci ha lasciato Vittorio Foa, grande figura italiana del '900, protagonista dell'Assemblea Costituente e coscienza critica della cultura politica. Ricevo queste poche righe che volentieri trasmetto, anche per allontanare in ciascuno di noi la tentazione degli innocui "profeti di sventura".

Antonino Lusi


Dall'introduzione alle "Lettere della giovinezza"di Vittorio Foa (Einaudi 1998), scritte tra il 1935 e il 1943 durante gli otto anni della sua reclusione.

"Paiono traversie e sono opportunità": questo pensiero di Vico ha accompagnato un lungo pezzo della mia giovinezza. L'ho in qualche modo adottato come senso della vicenda raccontata in queste lettere: il travaglio, le privazioni, la sofferenza del presente erano proiettati nel futuro, non erano un patimento da sopportare stoicamente o religiosamente, erano delle possibilità e quindi delle scelte. Con quel pensiero nella testa mi sentivo come pacificato con me stesso, mi sembrava di aver vinto il presente e di stare costuendo un futuro. Facevo parte del movimento 'Giustizia e Libertà': il suo realismo rifiutava l'eterno vizio politico di dire senza fare, le ideologie astratte dagli uomini e dalle donne viventi e al tempo stesso rifiutava lo spicciolo empirismo, chiedeva disegni e progetti. Ero spinto a dare un senso alle cose che vedevo e studiavo, appunto per dare un senso al domani. Stavo superando una prova della vita e mi sentivo più preparato per le nuove prove della pace e della guerra. Ero contento.(...).

(...) Possono queste lettere dire qualcosa a una ragazza o un ragazzo di vent'anni, l'età che più o meno avevo io quando ho cominciato a scriverle? Ho molti dubbi. Qui sono affrontati i nodi della mia testa di allora, non quelli dei ragazzi di oggi che non sono certo più semplici. Forse più che le cose che ho scritto può servire solo il fatto di averle scritte, il tentativo di dare un senso alle cose, di noin lasciarsi vivere ma di pensare quello che accade a noi e attorno a noi. In questo modo si capisce che nel mondo ci sono anche gli altri, c'è anche il futuro e che quello che accade non è fatale.

Per un ragazzo di qualsiasi età è possibile, se lo vuole, incontrarsi con i ricordi di un adulto, anche di un vecchio. Non serve rievocare gli eventi, cioè i fatti accaduti. Cosa può interessare a un ragazzo di vent'anni di sapere che c'è stata la repubblica di Weimar o che i russi hanno occupato Berlino nel 1945? Il rapporto si stabilsce attraverso l'animo che ha sorretto gli eventi, l'insieme di sentimenti, di speranze, di paure che hanno accompagnato le azioni. E' solo questo rapporto che consente a una poesia, a un film di altri tempi, di diventare attuali.

Vorrei chiedere una cosa ai ragazzi, di non vedere tutto come un dramma, di non prestare fede a chi vede catastrofi dapperutto. Se possibile usate l'ironia e l'autoironia: esse ci consentono di essere coinvolti e distaccati, di capire e partecipare.(...)

Vittorio Foa

domenica 19 ottobre 2008

Dati definitivi primarie PD collegio Marsica - Dettagli Comune di Capistrello



Primarie PD per la scelta dei candidati alle regionali 2008 nel collegio Marsicano.
Sotto tabella con dettaglio dei voti, di lato grafico con la distribuzione in percentuale delle preferenze.


Dati detinitivi - Primarie PD regionali 2008 Collegio Marsicano

Giovanni D'Amico 2135 voti

Giuseppe Di Pangrazio 1948 voti

clicca sull'immagine per ingrandirla
Nicola Pisegna 1892 voti

Gianni Meuti 1606 voti

Monia Nanni 190 voti

Mario Spallone 78 voti

___________________________________________________________________


Dettaglio voti Comune di Capistrello

totale votanti 317

Giuseppe Di Pangrazio 143 voti

Giovanni D'Amico 90 voti

Nicola Pisegna 40 voti

Gianni Meuti 27 voti

Monia Nanni 11 voti

Mario Spallone 2 voti

nulle 3

bianche 1



sabato 18 ottobre 2008

Dove -come votare alle primarie del PD 2008 per la scelta dei candidati per il rinnovo del consiglio regionale 2008



Domenica 19 presso i locali della ex-biblioteca comunale in via San Silvio è allestito il seggio per le primarie 2008 per la scelta dei candicati del PD per il rinnovo del consiglio regionale si vota dalle 8.00 alle ore 20.00 - Per votare è necessario portare con se carta d'identità o la tessera elettorale.



PD Capistrello

giovedì 16 ottobre 2008

Incontro per conoscere i candidati


Domani venerdì 17 ottobre alle ore 18.30, presso i locali della ex-biblioteca comunale in via San Silvio vicino il palazzo municipale, incontro con tutti i candidati alle primarie del PD nella Marsica per la scelta dei candidati alla candidatura nelle liste del PD per rinnovo del Consiglio Regionale.
Ogni candidato esporrà il proprio programma e sarà a disposizione per eventuali domande.
Sarà presente all'incontro anche il segretario prov. del PD Michele Fina.

Vi aspettiamo numerosi

sabato 11 ottobre 2008

Un voto per il cambiamento? - Primarie 2008 d.C. di la TUA


"Dopo alterne vicissitudini il PD Abruzzese, con uno scatto di orgoglio e tra non poche difficoltà è riuscito anche questa volta con vero spirito democratico, a conseguire l'obiettivo che si era preposto fin dalla sua costituzione far decidere attraverso le primarie a Tutti i cittadini chi debba essere investito del gravoso compito di rilanciare il PD Abruzzese, nell'ottica della novità e in un rinnovato spirito di unità e umiltà.
Per questo attraverso il nostro blog proponiamo in anteprima un sondaggio che replica di facto la scheda elettorale delle primarie per le candidature al consiglio regionale nel colleggio marsicano.
Invitiamo tutti ad esprimere la propria preferenza tra la rosa dei candidati, oppure indicarci un'altro nome attraverso un commento".

venerdì 10 ottobre 2008

Agli abruzzesi - si parva licet - liberi e forti -

Riceviamo dall'amico Antonino Lusi questa lucida e puntuale analisi sulla condizione politico-economico-sociale della nostra regione, vale la pena leggerla attentamente. Augusto B.


Agli abruzzesi - si parva licet - liberi e forti,

la stampa locale di oggi annunciava, dopo settimane di non esaltanti confronti meramente nominali, i nomi dei candidati ammessi alle primarie per le prossime consultazioni regionali. Al di là del documento rinvenibile nel sito del PD Abruzzo e delle Assemblee territoriali che hanno visto una modestissima partecipazione di iscritti ed elettori, continua a non essere percepito il programma politico sulla base del quale il PD intende risorgere dalle ceneri, non dei provvedimenti giudiziari ma di un vecchio, vecchissimo, stantio modo di far politica che allontana sempre di più gli elettori dagli eletti.

Senza farla troppo lunga, mi sono messo alla ricerca di qualche dato sull’economia abruzzese che ho sintetizzato nell’accluso allegato con la speranza che gli aspiranti consiglieri regionali, leggendolo in fretta ne traggano qualche indicazione positiva. Per quanto mi riguarda, indipendentemente dalle correnti e correntine alle quali ciascuno di essi fa legittimo riferimento, vorrei prospettare loro alcuni elementi di riflessione, seguiti da poche richieste ma di enorme significato politico e istituzionale. Non credo che queste domande troveranno spazio nel sito del PD abruzzese e, dunque, se qualcuno sarà disponibile a trasmettere agli interessati il senso delle stesse sarebbe miracoloso avere delle risposte. L'interesse primario è fare della Regione un soggetto promotore di crescita economica e sviluppo civile perché i deboli siano più robusti in una società più umana e solidale.

Innanzi tutto la Regione dovrebbe abbandonare modelli di comportamento centralisti poiché nel tempo è andata accentuandosi una organizzazione paraministeriale, sul modello del Governo nazionale. Dopo la riforma costituzionale del 2001, infatti, tutte le funzioni già statali riconosciute alla competenza regionale, anziché decentrare e semplificare l'ordinamento, hanno finito per appesantire e duplicare molte delle strutture amministrative esistenti, con costi non indifferenti. In proposito non va dimenticato che la Regione ha soprattutto competenze legislative poiché le competenze amministrative sono in via ordinaria assegnate ai Comuni e non alle Regioni, cui possono essere conferite dallo Stato solo per assicurarne l'esercizio unitario. Questo comporta una matura riflessione sulla prioritaria esigenza di smantellare la miriade strutture regionali e pararegionali, di enti e società partecipate che costano moltissimo, hanno efficacia a dir poco discutibile, anche perché in genere sono affidate a personale di risulta di un sottobosco "partitico" che per lo più non sarebbe capace di guadagnarsi da vivere autonomamente in altri contesti. Tutto ciò, ovviamente, non per assumere il volto truce di una politica punitiva ma per stimolare la crescita sana del territorio e di una società civile il cui costume politico risulti più democratico ed efficiente.

La Regione Abruzzo tra l'altro, in riferimento al numero di residenti, registra un abnorme eccesso di spesa per pubblici dipendenti e per il servizio sanitario. Chi volesse consultare la documentazione pubblica sui consulenti regionali si renderebbe immediatamente conto che il valore aggiunto di tali consulenze è - per la maggior parte di essi e certamente non per loro responsabilità – vicino allo zero, trattandosi quasi sempre di assunzioni a tempo determinato senza concorso e, soprattutto, senza utilità alcuna per la Regione. Non ci si venga a dire frottole, queste cose il Paese non è più disposto a tollerarle, soprattutto quando sono espressione della propria parte politica.

Gli impegni che dovrebbero qualificare i nuovi eletti, dunque, a mio avviso si identificano – specie in vista del federalismo fiscale più o meno prossimo venturo – con una più lungimirante allocazione delle risorse diminuendo la spesa corrente improduttiva e aumentando la quota in conto capitale per investimenti di lungo periodo, possibilmente di carattere strutturale e innovativo. La maggior parte delle risorse risparmiate dovrebbero essere investite in un contesto che stimoli anche la partecipazione di capitali privati per progetti che abbiano un sicuro e consistente valore aggiunto. Non è pensabile che il modello regionale assuma sempre più le caratteristiche di un asfittico piccolo mondo dove riversare contributi a pioggia, più o meno campanilistici o clientelari, senza puntare decisamente alle potenzialità di crescita che soltanto sistemi a rete integrata possono determinare. Il trasporto ferroviario, ad esempio, non può che essere destinatario privilegiato - in concorso con le risorse statali - dei risparmi di spesa che devono essere realizzati a valere delle burocrazie improduttive e delle inefficienze del sistema sanitario. La ricerca applicata e l'università non si sviluppano moltiplicando il nanismo municipale ma integrandosi con realtà capaci di rinvenire investimenti e risorse umane che trovino immediate corrispondenze nel tessuto produttivo. Se sto nel Fucino penso a tecnici qualificati nella ricerca agroalimentare e nei comparti produttivi della piccola e grande industria presente nel territorio, non ad altri operatori del diritto destinati alla disoccupazione o sottoccupazione.

Ciò comporta una inversione del criterio assistenziale sotteso all’assunzione indiscriminata di pubblici dipendenti, a tempo determinato e indeterminato, ai quali non si richiedono prestazioni qualificate poiché il principio di riferimento dominante consiste nel mantenere clienti, più o meno sudditi.

Una forte riduzione dell’apparato amministrativo non significa licenziare i dipendenti di ruolo o a tempo indeterminato ma implica la concertazione tra tutte le Amministrazioni pubbliche, comprese quelle del cosiddetto settore pubblico allargato, al fine di programmare un diverso assorbimento delle risorse umane secondo i rispettivi fabbisogni. In molti comparti pubblici, ad esempio, si lamentano da sempre più o meno accentuate carenze di organico: si pensi ai tribunali, alle agenzie pubbliche, agli ospedali e così via. Il nuovo governo regionale, pertanto, dovrebbe impegnarsi a una redistribuzione di organici pletorici ma fin troppo costosi per le scarse risorse finanziarie che andrebbero, invece, convogliate sugli investimenti produttivi.

Per quanto riguarda la spesa sanitaria – lasciando da parte qualunque reazione anche lontanamente di tipo giustizialista – a me personalmente ha molto colpito il fatto che, solo dopo gli arresti di luglio, gli stessi amministratori regionali hanno “scoperto” la possibilità di ridurre, per un importo pari a circa 100 milioni di euro, i debiti messi a bilancio per asseriti crediti da parte di soggetti privati che, a una più meticolosa analisi, sono risultati del tutto privi di giustificazione. Se analoga attenzione l’avessero prestata a una pubblica posizione - contraria all’operazione Deutsche Bank - formulata da un intellettualmente onesto dirigente amministativo regionale, indipendentemente dalle manette, qualche risorsa finanziaria in più sarebbe a disposizione dei pubblici poteri e qualche debito in meno a carico dei residenti in Abruzzo.

Sempre prescindendo, in proposito, da qualunque prurito giustizialista ma restando bene ancorati alla responsabilità che gli eletti dovrebbero avere non soltanto nei confronti dei partiti o delle correnti di riferimento ma soprattutto dei cittadini elettori e della legge sovrana, personalmente sono rimasto sconcertato nel sentire la pseudogiustificazione di un assessore regionale che dichiara di aver votato una legge senza conoscerne il contenuto. Mi sembrerebbe del tutto plausibile ritenere che in questo caso la responsabilità omissiva autodenunciata sia molto più grave sotto il profilo morale e politico che non dal punto di vista civilistico o penale. Civilisticamente, infatti, si protrebbe immaginare un risarcimento del danno, penalmente dovrebbe configurarsi una dolosa connivenza con altri cointeressati difficilmente, mi auguro, immaginabile. Sul piano politico, invece, quale affidabilità può avere qualunque soggetto che decida in ordine ai destini di una intera comunità regionale esprimendo un voto privo di consapevolezza, basato soltanto su un ordine di scuderia, la più nobile delle quali è sempre un giudice di seconda istanza rispetto alla coscienza responsabile e all’intelligenza personale? Sul piano morale, infine, a quale modello di riferimento si collega un comportamento passivo del genere quando da una parte significativa del Paese emerge non soltanto una domanda di partecipazione responsabile ma anche un diverso rapporto positivo, tra persone e istituzioni, che prescinda del tutto dalla logica dell’apparire e dal mancato esercizio delle responsabilità individuali e collettive?

Passando ai costi e ai servizi resi dal sistema sanitario regionale non va dimenticato che gli sprechi accertati nella misura di almeno 15 milioni di euro riguardano un comparto non superiore al 20% della spesa pubblica per la sanità abruzzese. Se siano reati, come molti ritengono, lo giudicherà la magistratura ma in sede di responsabilità politica sarà pur necessario guardare senza veli il degrado di una politica regionale che, purtroppo, sembra scimmiottare il peggio di quella nazionale senza ispirarsi al meglio che, pure, questo Paese esprime. L’80% della sanità abruzzese si ritiene immune dall’esigenza di migliorare la qualità dei servizi e il rapporto costi benefici?

Ai nostri politici dovremmo richiedere un grande e prioritario sforzo di ridurre i costi migliorando i servizi, azzerando le rendite di posizione e razionalizzando l’organizzazione della sanità pubblica. Al riguardo, ad esempio, c’è da chiedersi perché mai le strutture sanitarie pubbliche debbano garantire mezzi e risorse che nessun soggetto privato può mettere a disposizione e, nel contempo, utilizzare le proprie strutture, quando va bene, per la metà delle rispettive capacità. Dotare un ospedale di personale qualificato la cui formazione è costata allo Stato un certo quantitativo di risorse finanziarie e di macchinari del costo pari a diversi milioni di euro dovrebbe comportare l’esigenza del più razionale ed efficiente utilizzo di entrambi. Chiunque entri nella maggior parte degli ospedali pubblici, invece, sa bene che la mattina sono affollati e il pomeriggio c’è l’assistenza minima per i ricoverati ovvero per il pronto soccorso. Le visite e gli esami specialistici invece, in barba ai tanti virtuosi propositi, richiedono tempi di attesa indefinibili. Se, però, si sceglie la visita dello stesso sanitario ospedaliero in privato o intra moenia i tempi di attesa sono minimi. Una diversa organizzazione ospedaliera, pertanto, richiede semplicemente di aver presenti le esperienze straordinariamente positive realizzate in altre Regioni dove la spesa sanitaria pro capite è enormemente inferiore a quella abruzzese ma con indici di efficienza notevolmente superiori. Questo significa avere a disposizioni molte risorse finanziarie in più da destinare alla crescita, senza piangere di fronte a un paese che ha il diritto di chiederci il conto.

Ancora una sensazione soggettiva e un elemento di riflessione da mettere in comune. Subito dopo le elezioni politiche dello scorso aprile, il fatto che qualche politico regionale fosse transitato in Parlamento determinò una convulsa fase di oscure trattative per le corrispondenti sostituzioni in Abruzzo. Trattandosi della stessa maggioranza politica sarebbe stato lecito attendersi che le sostituzioni di cui si tratta fossero deliberate nel giro di qualche ora, nel peggiore dei casi in qualche giorno. Dai giornali, invece, fummo costantemente informati – per settimane e mesi – di incomprensibili, inquietanti e ingiustificabilmente misteriose trattative che condussero a una organizzazione di vertice della maggioranza regionale smantellata qualche tempo dopo per le indagini della Magistratura inquirente. In proposito non sarà affatto consolatorio sapere e far sapere che la precedente maggioranza di centro-destra aveva da fin troppo tempo sperimentato e attuato pratiche a dir poco distorsive dell’interesse pubblico, così come non sarà affatto consolatorio venire a sapere dalle cronache dei giornali che l’attuale Presidente vicario della Regione, essendo consapevole di molti dei fatti oggetto di indagine, non solo abbia ricevuto il plauso per la collaborazione garantita alla Magistratura inquirente ma abbia a suo tempo coinvolto i vertici nazionali del proprio partito perché convinto di una linea politica profondamente errata di cui erano espressione il Presidente della Giunta regionale ed altri. In tal caso infatti – sempre lasciando da parte i profili di carattere giudiziario – un cittadino, specie se elettore dell’attuale Presidente vicario, perché deve venire a sapere dai giornali che prima Fassino e poi Migliavacca scendono – invano - in Abruzzo per modificare decisioni in materia di politica regionale tanto onerose dal punto di vista finanziario e tanto inefficaci dal punto di vista politico e amministrativo? E una volta venuto a conoscenza della gravità di conseguenze determinate da quelle scelte politiche lo stesso rappresentante regionale ha o non ha il dovere di mettere a conoscenza i cittadini elettori di cose che riguardano direttamente non soltanto le proprie scelte politiche ma il vivere quotidiano nel territorio? In altri termini se i nostri rappresentanti politici erano così consapevoli non dico della illiceità dei comportamenti di una parte della Giunta regionale ma, quanto meno, della irragionevolezza delle scelte da questa pervicacemente compiute, per quale ragione non hanno avviato un pubblico dibattito, un confronto di idee, di programmi, di scelte concrete da discutere alla luce del sole per dare maggior forza alla trasparenza e al risanamento di finanze devastate dalle politiche del centro-destra? Che senso ha continuare a gestire la cosa pubblica come se i Partiti – associazioni di diritto privato a tutti gli effetti e, pure, indispensabili al corretto esercizio della democrazia per "concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (art. 49 della Costituzione) – avessero la competenza a sostituirsi non soltanto ai cittadini che vi aderiscono ma anche alle istituzioni che in qualche modo li presuppongono? Per chi non ha nulla ma proprio nulla a che fare con il "dipietrismo" sarà lecito porre problemi in sede politica o ci si deve rassegnare alla manifesta irritazione per aver disturbato i presunti addetti ai lavori?

Agli amministratori e ai politici dobbiamo sempre richiedere maggiore trasparenza, competenza ed efficacia. Sarà dunque lecito chiedere agli elettori di non votare chi non dia un minimo di garanzia in tal senso? O dobbiamo continuare ad avallare la delega in bianco senza chieder conto di un operato quanto mai discutibile?

Con la consueta franchezza, auguro a tutti un rinnovato impegno con il realismo del possibile e la nostalgia dell'impossibile

Antonino Lusi



Allegato
(Il testo che segue è una mia libera sintesi di studi pubblicati dalla Banca d'Italia sulla Regione Abruzzo)



Nel 2007 la dinamica del prodotto appare meno sostenuta rispetto alla media nazionale: in termini pro capite il PIL regionale è pari a circa l’83% del livello nazionale (- 4% rispetto al 2000). Nel secondo semestre 2007 e nel primo trimestre 2008 si è registrato un rallentamento degli ordini e della produzione manifatturiera. Le esportazioni nell’Unione europea hanno retto all’impatto congiunturale mentre quelle extra UE sono diminuite. Il peggioramento complessivo registrato dalla produttività del lavoro dall’industria manifatturiera abruzzese, nell’ultimo decennio, rispetto alla media nazionale riflette la dinamica delle imprese di maggiori dimensioni operanti in settori tecnologicamente avanzati. Le imprese che hanno incrementato significativamente la dotazione di capitale fisso per addetto hanno registrato risultati migliori della media regionale.

Il settore delle costruzioni residenziali rallenta la crescita mentre le opere pubbliche riprendono lentamente dopo due anni di forte contrazione.

Nel commercio, diminuite le vendite al dettaglio, sono cresciuti gli acquisti di beni durevoli.

Secondo stime provvisorie dell’ISTAT, nel 2007 sia la produzione lorda agricola sia le superfici coltivate sono nel complesso diminuite. Nel 2003 le aziende agricole in Abruzzo erano diminuite del 5% rispetto al censimento del 2000. Analoga contrazione si rileva per la superficie agricola cosicché la dimensione media delle aziende agricole abruzzesi è rimasta immutata (5,2 ettari contro i 7,5 della media nazionale).Tra il 2000 e il 2006 il valore aggiunto del settore agricolo è diminuito, in Abruzzo, mediamente dell’1,6% contro l’1% della media nazionale. Nello stesso periodo l’incidenza del settore primario sul valore aggiunto regionale è scesa dal 3,7 al 3,4%.

L’occupazione è aumentata dello 0,8%, a un ritmo di poco inferiore alla media nazionale.


Il grado di istruzione e la corrispondente quota della spesa pubblica in Abruzzo risultano in crescita rispetto alla media nazionale: l’inserimento professionale dei laureati, tuttavia, registra difficoltà analoghe a quelle presenti in tutto il Mezzogiorno, compresa la pronunciata tendenza a cercare sbocchi sul mercato del lavoro di altre Regioni italiane.

Con l’uscita dell’Abruzzo dalle Regioni dell’obiettivo 1 comunitario sono diminuiti sensibilmente il volume e il numero dei prestiti da parte della Banca europea degli investimenti e, conseguentemente, dell’intero sistema creditizio che ha visto l’aumento percentuale dei prestiti rispetto all’anno precedente passare dal 24,9% del 2006 al 4,2% del 2007.

Nel decennio in corso le famiglie abruzzesi hanno visto una minore crescita del risparmio e un maggior ricorso al debito, specie in forma di mutui ipotecari. La ricchezza pro capite si colloca in posizione intermedia tra il livello del Mezzogiorno e quello nazionale.


La spesa pubblica.

Le dimensioni dell’Amministrazione pubblica in Abruzzo. Dai dati elaborati dal Ministero dello Sviluppo economico le erogazioni di parte corrente della spesa pubblica per il triennio 2004-2006, al netto degli interessi, come desunta dai bilanci consolidati delle Amministrazioni locali, sono state pari ai tre quarti dell’intera spesa, 3.000 € pro capite, il 6% in meno rispetto alle Regioni a statuto ordinario (RSO): dunque solo un quarto è affluito agli investimenti.

La Regione e le Asl hanno erogato circa il 60% della spesa corrente primaria per il ruolo svolto dalla spesa sanitaria; ai Comuni è attribuibile circa il 46% della spesa pubblica locale di parte capitale. Le province incidono solo per il 4,5% sulla spesa corrente primaria e per il 12,2% sulla spesa in conto capitale.

In Abruzzo la spesa primaria per le Amministrazioni pubbliche, comprensiva di quella delle Amministrazioni locali e delle spese erogate dalle Amministrazione centrali in riferimento al territorio regionale, è stata inferiore di circa 6 punti percentuali rispetto alla media delle RSO. Solo per l’istruzione nel quinquennio 2001-2005 la spesa è aumentata di 0,6 punti rispetto al quinquennio precedente, risultando mediamente pari a 9,2% (8,1% in Italia).

I costi del Servizio sanitario regionale (2004-2006) hanno registrato una crescita media del 4,4% annuale. In termini pro capite, nel 2006 la spesa era pari a circa 1.750 €, valore leggermente superiore alla media delle RSO (1.727 €). L’erogazione delle prestazioni da parte di soggetti privati convenzionati e accreditati è stata leggermente inferiore al 20%.

I ricavi del Servizio sanitario regionale, rappresentanti dall’IRAP e dall’addizionale IRPEF, nel triennio sono risultati circa il 28%, in livello inferiore di oltre 10 punti percentuali rispetto alla media delle RSO e in progressiva diminuzione nel periodo considerato. Le entrate delle Asl, principalmente i ticket determinati autonomamente dalla Regione incidono in misura pari a circa il 3% dei ricavi complessivi nella media del triennio (4,2 nelle RSO). Il resto del finanziamento al servizio sanitario (pari a circa il 70% circa dei ricavi) deriva da risorse trasferite dallo Stato principalmente a titolo di compartecipazione all’IVA.

La sanità regionale nel 2007 (dati provvisori). In base alle informazioni contenute nel Sistema informativo sanitario (SIS) alla data del 20 febbraio 2008, nel 2007 i costi del servizio sanitario dell’Abruzzo sono aumentati dell’1,2%. I ricavi sono cresciuti del 2,3%, una dinamica anche in questo caso meno sostenuta rispetto alla media delle RSO (4,2%).

La spesa farmaceutica convenzionata pro capite, passata da 222 € nel 2002 a 199 € nel 2007 ha visto ridursi il differenziale in eccesso rispetto alla media nazionale da 17 € nel 2002 a 5 € nel 2007. Il calo della spesa registrato nel 2007 è in parte da ricondurre alle determinazioni adottate nel 2006 dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA): la riduzione selettiva del 4,4% del prezzo al pubblico dei medicinali a maggiore impatto sulla spesa, elevata al 5% dal 15 luglio 2006, e una ulteriore riduzione del 5% dal 1° ottobre 2006. L’applicazione di tali riduzioni, deliberate dall’AIFA in via transitoria a seguito del divergere degli indicatori di spesa rispetto agli obiettivi, sono state successivamente confermate dalla Legge finanziaria per il 2007, per l’anno di riferimento e gli anni successivi, sino a nuova determinazione.


Gli investimenti pubblici. Una spesa superiore al 40% degli investimenti determinati dalle Pubbliche Amministrazioni nel territorio regionale è affluita alle infrastrutture economiche (cosiddette opere del genio civile), con un’incidenza superiore a quella riscontrata nella media delle RSO. Nel quinquennio 2001-2005 in termini pro capite essa è passata da 178 a 229 €, al di sopra dunque della media registrata dalle altre RSO, aumentata da 149 a 198 € nel medesimo periodo.

Altrettanto superiore alla media delle RSO la spesa per infrastrutture di trasporto, specie se considerate in riferimento al cosiddetto settore pubblico allargato (61,6% del totale contro il 46,2% delle RSO). Di contro solo il 36,5% (contro il 50,5% nelle RSO) è stato investito nella realizzazione di condotte e linee di comunicazione ed elettriche.

Il finanziamento della spesa.

Le entrate tributarie. Nel triennio 2004-2006 la somma delle entrate tributarie di Regione, Province e Comuni abruzzesi è stata pari all’8,6% del PIL (8,5% per l’insieme delle RSO) nella media del triennio, tuttavia, le risorse tributarie degli enti territoriali abruzzesi sono aumentate mediamente dello 0,5% in più rispetto alla media delle RSO (5,1 contro 4,6) soprattutto per la forte espansione registrata dai Comuni (6,8%, nelle RSO 2,2%).

I tributi propri regionali nel medesimo triennio sono stati pari al 3,4% del PIL, con un incremento medio annuo dell’8,8%. L’addizionale regionale all’IRPEF nel 2006 è passata dallo 0,9 all’1,4% mentre l’aliquota ordinaria dell’IRAP è stata aumentata di 1 punto percentuale attestandosi a 5,25%. Tali aliquote sono state confermate per il 2007.

Le risorse tributarie dei Comuni, pari al 2,1% del PIL regionale, sono costituite per il 43,8% dal gettito dell’ICI, cresciuto nel triennio a un ritmo mediamente superiore a quello registrato dalle RSO 8,2% contro il 3,3.

Il debito. Alla fine del 2006, ultimo anno per il quale è disponibile il dato Istat sul PIL regionale, il debito delle Amministrazioni locali della regione era pari all’11,8% del PIL, un valore supeirore alla media nazionale. Esso rappresentava il 3% del debito delle Amministrazioni locali italiane, che possono contrarre mutui e prestiti sono a copertura di spese di investimento.

Alle fine del 2007 il debito delle Amministrazioni locali abruzzesi è stato pari a 3.496 mioli di euro, in crescita del 10,2% in termini nominali, seppure in sensibile decelerazione rispetto all’anno precedente (17%). Le principali componenti del debito erano rappresentate da titoli emessi all’estero e da prestiti bancari nazionali (rispettivamente pari al 30,5 e 29% del totale). Il peso elevato delle altre passività (27,7%, rispetto al 9,3 mediamente registrato per le RSO) riflette l’incidenza delle operazioni di cartolarizzazione dei crediti vantati nei confronti delle Asl da parte dei fornitori.


giovedì 9 ottobre 2008

Circolo di Capistrello verso il voto.
Primarie del PD per il rinnovo del consiglio regionale 2008,analisi e proposte.

Riunito giovedi 9 ottobre il circolo del Pd di Capistrello che ha affrontato il tema delle primarie per le prossime elezioni regionali.
Il dibattito non ha potuto fare a meno di ripercorrere le tappe e le cause che hanno determinato il ricorso al voto anticipato, tanto che non sarà affatto semplice fare campagna elettorale.
Si esce da una situazione disastrosa rispetto alla quale la dirigenza del PD non ha dimostrato quella capacità autocritica che avrebbe potuto rilanciare idee e facce nuove, anzi, in tale contesto il partito non ha saputo far altro che replicare vecchi schemi, con la scusa che non deve essere la magistratura a dettare i tempi della politica.
I segretari dei circoli e i militanti, lavoreranno comunque, come sempre hanno fatto.
Oggi però, il gravoso compito di organizzare le primarie, in un panorama politico difficile e confuso, pone la corsa alle candidature come priorità rispetto ad una proposta politica da sottoporre agli elettori e ciò non fa assolutamente bene alla salute del PD.
La politica dovrebbe dare risposte sollecite alle innumerevoli questioni che ci riguardano come cittadini, ma le risposte si riesce a darle solo se si è capaci di avere una visione più ampia delle esigenze della collettività.
Il PD pare aver smarrito questa capacità!
Ancora una volta si antepongono le ambizioni ed i personalismi al bene comune evidenziando povertà di idee invece che contenuti.
Il Circolo di Capistrello ha sempre dimostrato, a partire dalle primarie del 14 ottobre, il proprio impegno e la propria disponibilità alla costruzione del PD ma affinché tali sforzi vengano ribaditi occorrerà avere maggiore riguardo per territori come il nostro che hanno avuto e hanno tutt'ora la capacità di esprimere non solo consenso ma anche personalità portatrici di contenuti ed idee.

Il segretario
Alfio Di Battista

martedì 7 ottobre 2008

Record del cemento invasi tre milioni di ettari


Che effetto vi farebbe se vi dicessero che su tutto il territorio del Lazio e dell'Abruzzo non esiste più un solo filo d'erba, neanche un orto; che le due Regioni sono state completamente, e dico completamente, cementificate? Sono sicuro che la maggioranza degli italiani inorridirebbe. Forse avrebbero una reazione un po' diversa tutti quelli che a vario titolo sono invischiati in speculazioni edilizie. O gli amministratori che devono fare cassa con gli oneri di urbanizzazione, ma credo, anzi spero, che non siano i più. Se invece siete tra i più, sentite questa: negli ultimi 15 anni, se si fa un confronto tra i censimenti agricoli del 1990 e del 2005, in Italia sono spariti più di 3 milioni di ettari di superfici libere da costruzioni e infrastrutture, un'area più grande del Lazio e dell'Abruzzo messi insieme. Poco meno di 2 milioni di ettari erano superfici agrarie. Però nessuno sembra inorridire. Forse sarà a causa di una mentalità diffusa secondo la quale se non si costruisce non si fa, non c'è progresso economico. E questo lo dimostrano i programmi elettorali e la composizione delle liste stesse, soprattutto quelle relative alle elezioni amministrative: fateci caso, sono sempre infarcite di soggetti con evidenti interessi nell'edilizia. Sarà un caso? Dal 1950 a oggi abbiamo perso il 40% dei territori liberi nel nostro Paese, negli ultimi anni il consumo medio annuo è addirittura cresciuto rispetto agli anni passati, quelli del boom economico (ed edilizio). Non ci sono solo gli "eco-mostri", tanti, che urlano con violenza tutta la loro protervia (sintomo di grande ignoranza) nel deturpare paesaggi e luoghi incantevoli lungo coste, colline e montagne del nostro Paese. Ci sono tanti "eco-mostriciattoli", e c'è tutta una tendenza a fuggire dall'ambiente urbano, sempre più brutto, caotico e poco salutare, per riparare in campagna, a colpi di villette che mangiano terreno utile alla produzione di cibo e tirano pugni in quegli occhi che ancora cercano bellezza. Prendiamo poi in considerazione l'edilizia per le attività produttive, dalle schiere di scatoloni di cemento che si snodano ininterrotte lungo molte nostre strade, fino al piccolo capannone isolato che abbagliati imprenditori ergono alle pendici (se non proprio in cima, perché nella mia Langa succede anche questo) di una collina particolarmente bella. L'Italia è al primo posto in Europa per la produzione e il consumo di cemento armato, 46 milioni di tonnellate l'anno: le cave legali e abusive hanno un impatto paesaggistico tremendo, e i cementifici inquinano molto, mangiandosi vigne, campi coltivati, boschi, o compromettendo l'ecosistema di quelli viciniori che gli sopravvivono. Il tutto per foraggiare la costruzione selvaggia di villette a schiera, outlet, depositi e quant'altro. Non posso che sottoscrivere le parole di Giorgio Bocca quando, trovatosi a percorrere l'autostrada tra Milano e Firenze, scrive: "Il primo tratto tra Milano e Lodi si merita questo titolo: la scomparsa del paesaggio. La pianura del Po, "la più fertile e ricca regione d'Europa", come diceva quel re di Francia di nome Enrico, illustre invasore, la pianura dei pioppi e delle marcite, dei fontanili che sgorgano nei prati di erba medica, il paese di Bengodi, delle montagne di cacio e di ravioli, dei campanili svettanti nel verde, delle abbazie e delle cattedrali, dei battisteri policromi, degli Stradivari e dei culatelli è scomparso, sommerso da una distesa ininterrotta di fabbriche e fabbrichette". Non c'è limite al brutto, al volgare, ed è giusto paragonare l'inghiottimento di un battistero policromo alla scomparsa di un prodotto gastronomico tradizionale. Riporto un'altra volta il dato: quasi 2 milioni di ettari di suolo agricolo sono spariti, come dire l'intero Veneto. Se da una parte ci scandalizziamo giustamente perché sparisce il bello - e viva le iniziative meritorie, come ad esempio quelle del FAI e di Legambiente, che ci documentano con regolarità le brutture peggiori e sanno coinvolgere i cittadini nella denuncia - la morte dei suoli agricoli sembra invece non interessare. È uno dei più grandi mutamenti che il nostro Paese ha subito nel secondo dopoguerra e non accenna a diminuire: sparisce la campagna, insieme ai contadini, si perdono spesso i terreni più fertili in pianura e in prima collina. Gli appezzamenti che resistono sembra che stiano lì, in attesa che qualcuno ci speculi su, perché diciamolo pure: non c'è bisogno di nuove case, l'edilizia è soltanto un'opportunità di investimento per chi già possiede bei capitali. Il suolo, se non muore a colpi di fertilizzanti e pesticidi, sparisce: se la sua tutela non entrerà presto a far parte dell'agenda politica delle amministrazioni sarà ora che ci sia una mobilitazione popolare in sua difesa. È uno scempio senza fine, che pregiudica la qualità delle nostre vite in termini ecologici e anche gastronomici. Sì: gastronomici, perché ne va anche del nostro cibo, della sua qualità, della sua varietà e della possibilità di poterlo comprare senza che provenga da un altro continente, con tutti gli enormi problemi che ne conseguono. L'ambiente è un diritto garantito dalla nostra Costituzione e non può esserci tutela dell'ambiente senza tutela del mondo rurale, sia per quanto riguarda la sua produttività, sia per quanto riguarda la sua bellezza. Gli enti locali fanno poco, anzi proprio loro vedono nell'edificabilità dei terreni agricoli e dei suoli liberi una via per fare quadrare i propri bilanci. La politica di Palazzo non se ne cura, e se pare normale da parte di chi governa e ha costruito le sue fortune proprio sull'edilizia, il silenzio dell'opposizione sulla tutela dei terreni agricoli diventa sempre più assordante. Il problema infatti è più che mai politico, oltre che etico e culturale. Mancano delle politiche di territorio, come per esempio accade invece in Germania, dove per legge si cerca di riutilizzare aree già consumate e dimesse piuttosto che invadere nuovi campi, nuovo suolo, nuova agricoltura, paesaggi. Inoltre, i tedeschi, cercano di compensare nuove occupazioni andando ad agire su altre aree, con interventi di permeabilizzazione o naturalizzazione (contro il dissesto geologico, piantando nuovo verde). Tutto questo lo fanno senza rinunciare all'occupazione in edilizia, e certo senza aumentare il numero dei senzatetto. È solo questione di organizzazione, di razionalizzazione, e soprattutto di sentire il problema, che è gravissimo. So che anche in alcune Regioni ci sono stati alcuni isolati interventi normativi tesi a migliorare la situazione ma bisogna per forza fare di più. Che si favorisca con incentivi la distruzione di obbrobri costruiti negli anni '60 e già fatiscenti per riedificarci sopra qualcosa di bello, che si realizzino recuperi dell'archeologia industriale o di quelle aree urbane fortemente degradate: il lavoro per i costruttori non mancherebbe di certo. Che si tutelino per legge le aree rurali più importanti, come fossero Parchi Nazionali. Lasciate stare i suoli agricoli, sono una risorsa insostituibile, pulita, bella e produttiva. Sono il luogo che ci fa respirare, che riempie gli occhi, che ci dà da mangiare e che custodisce la nostra memoria, la nostra identità. Continuare a distruggerli, dopo tutto lo scempio che è già stato fatto, non è da Paese civile e un Paese civile dovrebbe predisporre i giusti strumenti di tutela per dare più scuse a chi lo fa. La Repubblica 5 ottobre 2008