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mercoledì 25 marzo 2009

Infiltrazioni mafiose nella Marsica - caso Tagliacozzo


Riciclaggio, si cercano gli altri investimenti Zangari nega, ma la procura di Avezzano punta alla collaborazione di Lapis

L’amministratore della Sirco versò quasi due milioni per il villaggio turistico di Tagliacozzo

AVEZZANO. A dieci giorni dagli arresti dell’ex assessore Nino Zangari e dei fratelli Achille e Augusto Ricci - proprietari della società «Alba d’oro», che secondo la Procura distrettuale antimafia reinvestiva in Abruzzo i soldi del boss Vito Ciancimino - la procura di Avezzano si prepara al nuovo interrogatorio dei tre imprenditori ristretti ai domiciliari. Dopo il sequestro del complesso turistico “La Contea” di Tagliacozzo, l’inchiesta sul tesoro della mafia riparte da Avezzano. La procura distrettuale antimafia dell’Aquila, pur riconoscendo la piena validità delle indagini del Gico della Finanza sulla provenienza palermitana dei soldi usati per la realizzazione del villaggio turistico di Tagliacozzo, e pur confermando per Zangari e i Ricci l’accusa di riciclaggio con l’impiego di denaro di provenienza illecita, ha trasferito il fascicolo alla procura di Avezzano non essendo i tre direttamente coinvolti nell’associazione di stampo mafioso. Ma, come ha tenuto a precisare il 18 marzo scorso il procuratore distrettuale dell’Aquila Alfredo Rossini, «ci troviamo difronte a una infiltrazione pesante, con uso di capitali che provengono indiscutibilmente da attività mafiose».LA TESI DIFENSIVA. Fattostà che nel primo interrogatorio condotto mercoledì scorso dal pm Fabio Picuto e dal gip Giansaverio Cappa, che ha firmato le tre ordinanze di arresto, i tre imprenditori marsicani hanno ribadito di non sapere che i soldi provenivano da una società “cassaforte” della mafia, quella «Sirco spa» amministrata dall’avvocato ravennate Gianni Lapis, prestanome dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. «Non sapevamo che erano soldi sporchi, e non sappiamo nulla di Ciancimino». Una tesi difensiva, questa, ribadita dallo stesso difensore di fiducia dei tre tagliacozzani, l’avvocato Salvatore Sciullo, che nella tarda mattinata di ieri ha raggiunto gli uffici della procura di Avezzano. «Proseguiamo le nostre indagini difensive con il conforto che Lapis è una persona in regola, e che la condanna del gup di Palermo del 10 marzo 2007 è stata impugnata. Quindi», ha aggiunto l’avvocato Sciullo «fino a quando non si avrà una sentenza di Appello e poi di Cassazione nessuno potrà dire che la provenienza di quei soldi è illecita. Sono convinto della perfetta buona fede dei miei assistiti, che hanno utilizzato fondi familiari in attesa di ricevere i finanziamenti pubblici».LA TESI DELL’ACCUSA. Secondo il gip Giansaverio Cappa, invece, l’ex assessore Nino Zangari è una persona «dall’elevata capacità criminale», che insieme ai fratelli Ricci non poteva non essere a conoscenza che quelli che venivano riversati nelle casse della società «Alba d’oro» fossero milioni di euro provenienti da canali illeciti. Dalla mafia. La guardia di finanza di Avezzano ha ricostruito ogni singolo passaggio di quei soldi che finivano nelle casse della società Alba d’oro, per il 50% marsicana e per il 50% palermitana (attraverso la Sirco spa). Fino al 10 dicembre 2004, si legge nella ricostruzione del gip Cappa, Zangari, in qualità di amministratore delegato, ha ricevuto complessivamente un milione e 610mila euro dalla Sirco, assegni incassati presso la Carispaq di Tagliacozzo sul conto intestato alla società Alba d’oro. Dieci gli assegni a firma di Mariangela e Mauro Lapis versati a Zangari, quasi tutti provenienti dalla Unicredit di Palermo, tra il 15 ottobre 2003 e il 10 dicembre 2004. Soldi utilizzati per la realizzazione del complesso turistico “La Contea” di contrada Sfratati di Tagliacozzo. Oltre 4 milioni di euro i soldi che servivano per acquistare due capannoni a Sulmona attraverso due società legate a Zangari: la Marsica plastica srl e la Ecologica Abruzzi srl, che, come spiega sempre Cappa nell’ordinanza, sono entrambe riconducibili a Lapis Gianni «per il tramite di Giuseppe Italiano, Mariangela Lapis (figlia di Gianni), Roberto Magnano ed Epifania Scardino (moglie di Lapis)».CIANCIMINO COLLABORA. Ma mentre Zangari e i fratelli Ricci negano di conoscere la provenienza illecita di tutti quei soldi arrivati da Palermo, due settimane fa i pubblici ministeri di Palermo Antonio Ingroia e Nino Di Matteo hanno interrogato Lapis in merito a uno stralcio di indagine che riguarda i suoi rapporti con Massimo Ciancimino, figlio del boss morto nel 2002. E Lapis avrebbe iniziato a collaborare anche in merito ai ruoli delle società Gas spa, Sirco spa e di altre coperture utilizzate per riciclare i 600 milioni del tesoro di Ciancimino. Non solo. Nel processo attualmente in corso a Bologna, dove Massimo Ciancimino è coimputato con Lapis proprio per il riciclaggio di denaro sporco, il rampollo del boss ha cominciato a parlare anche delle amicizie sulle quali il padre poteva contare sia a livello politico che giudiziario. Per ora sono usciti fuori i soliti nomi, a cominciare da quello del senatore del Pdl Carlo Vizzini, recentemente minacciato di morte da Cosa nostra. Ma tornando in Abruzzo, la procura di Avezzano (l’indagine è stata affidata al pm Stefano Gallo) vuole puntare alla collaborazione di Lapis. Anche per capire se, oltre al villaggio turistico di Tagliacozzo e ai capannoni di Sulmona, il tesoro della mafia sia stato utilizzato in Abruzzo per investire su rifiuti, energia alternativa o centri commerciali.


Lusi (Pd): con i beni confiscati oratori o impianti fotovoltaici


AVEZZANO. «I beni confiscati alla mafia diventino autentiche risorse da utilizzare per fini sociali». E’ l’auspicio lanciato dal senatore del Pd Luigi Lusi che, raccogliendo l’appello dei giovani della Santissima Trinità di Avezzano per avere un oratorio, afferma: «Sarebbe augurabile che alcune strutture o il ricavato della vendita di immobili venissero utilizzati per creare centri di aggregazione per giovani e famiglie». Tornando ai proventi delle attività criminali, Lusi aggiunge: «Credo sia utile continuare a promuovere la diffusione della cultura dell’uso sociale dei beni confiscati come affermazione dell’azione di contrasto alle organizzazioni mafiose e dell’autorità dello Stato». Lusi è «favorevole all’idea di utilizzare i terreni espropriati per costruire impianti sportivi o impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica».


tratto da: Il Centro 25.03.09


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