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martedì 24 marzo 2009

«Proteste e protezionismo: sarà un anno pericoloso, l' Europa non deve dividersi»

BRUXELLES - Stiamo vivendo «un anno pericoloso», dice al Corriere Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale. «Siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi economica, che si sta trasformando in crisi occupazionale. Questa poi diventa crisi sociale e umana e può indurre in certi Paesi anche una crisi politica. Assistiamo a eventi che portano a un ripiegamento, politiche isolazioniste, protezionismo». Di fronte a tutto ciò l' Europa deve restare unita, evitare «una nuova cortina di ferro finanziaria».

Zoellick (Banca Mondiale): no alla spirale pericolosa protesta sociale-isolazionismo «G8, l'Italia dia l'esempio sugli aiuti allo sviluppo». «Non voltate le spalle all'Est»

BRUXELLES – In compostezza e puntiglio, Robert Zoellick non perde un colpo neanche ora che sembra esausto: tosse, febbre, sindrome da troppi aerei e troppi fusi orari nel pieno dell'ennesimo giro del mondo per incontri sulle emergenze della crisi o sul G20 di Londra da preparare fra pochi giorni.
Esperto di Cina, poi consigliere e ministro in varie amministrazioni repubblicane, quindi banchiere a Goldman Sachs, oggi presidente della Banca mondiale: Zoellick ne ha viste troppe perché lo si possa ignorare quando dice che viviamo «un anno pericoloso », e non solo per la sua salute. È un anno nel quale, insiste, serve un contributo del-l'Italia come presidente del G8 perché i Paesi ricchi non scordino le promesse di sostegno agli altri. Le cifre sono terribili: «Per effetto della crisi cento milioni di persone torneranno in povertà. Fra 200 e 400 mila bambini rischiano di perdere la vita per la denutrizione e la mancata assistenza sanitaria», dice Zoellick in una pausa del Forum del German Marshall Fund di Bruxelles.

Crede davvero che la recessione investirà l'intero pianeta?
«Il Fondo monetario internazionale prevede una contrazione dello 0,7% per l'economia globale. Noi alla Banca mondiale non abbiamo ancora pubblicato una stima, ma credo sarà una riduzione fra l'uno e il due per cento. Sono analisi comparabili, con metodi diversi».

In Francia, enormi scioperi e poi Renault che riporta le fabbriche in patria incassando i sussidi: l'Europa è avviata verso una spirale di proteste e protezionismo? «Non conosco i motivi della scelta di Renault. Ma in generale, vedo che siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi economica, che a sua volta si sta trasformando in crisi occupazionale profonda. Questa poi diventa crisi sociale e umana e può indurre in certi Paesi anche una crisi politica. Non solo nel mondo avanzato, anche in quello in via di sviluppo: assistiamo a eventi che portano a un ripiegamento, politiche isolazioniste, protezionismo. Tutto ciò può rendere i problemi economici ancora più difficili da risolvere. Dunque sì: è una preoccupazione generale, ma non solo in questo caso francese ».

Robert Zoellick
Robert Zoellick
I governi del G20 condannano il protezionismo ma, calcolano alcuni, sono già in 17 su 20 a praticarlo. È così?
«In realtà sono già 47 i Paesi che hanno approvato misure di chiusura. Non sempre violano accordi internazionali, magari fanno quel che Gordon Brown chiama protezionismo finanziario: un certo governo dà un sostegno alle banche ma le spinge a usare i soldi in patria. Con effetti negativi quando quelle banche hanno filiali o controllate per esempio in Europa centro orientale».

Gli europei temono un terremoto su tutto il fianco Est dell'Unione, anche se dicono che ogni Paese fa storia a sé. Basteranno i fondi promessi nell'ultimo vertice?
«Ogni Paese è diverso e Repubblica Ceca, Slovenia o Slovacchia stanno meglio di altri. Ma la storia dimostra che l'Europa resiste o cade tutta insieme. Quante risorse serviranno lo vedremo, per ora noto che c'è stato un aumento sostanziale da parte dell'Ue. Un punto chiave su cui lavoriamo, piuttosto, è il sostegno al settore bancario e riguarda anche l'Italia. In sei Paesi d'Europa centro-orientale operano dodici grosse banche: italiane, tedesche, austriache, francesi e svedesi. Hanno tutte un ruolo decisivo ».

Teme una ritirata di queste banche entro i propri confini e una sorta di nuova cortina di ferro finanziaria?
«Noi stessi, la Bers di Londra, la Bei e i governi, tutti stiamo offrendo sostegno e lavoriamo con gli istituti per assicurarci che non ritirino denaro da quella parte d'Europa. Se uno ribalta vent'anni di strategia di integrazione perché c'è una crisi, deve sapere che le implicazioni non saranno solo economiche. Saranno politiche. Dopo aver lottato per decenni per un'Europa libera e intera, non vorremo mica una frattura adesso? Ma ciò richiede da parte europea una visione strategica ».

State parlando direttamente con le banche?
«Oh, certo! E incoraggio anche i ministri dell'Economia e la Commissione europea a lavorare con noi e con gli amministratori delegati, perché sono circolate voci in certi Paesi che stanno emergendo pressioni perché vengano riportati i soldi in patria. Sarebbe dannoso. Ma mi pare che molte di queste banche vogliano restare in Europa centro- orientale. Sanno che se ritirano gli investimenti, dovranno fare svalutazioni e accettare perdite. Probabilmente invece in alcuni casi ci saranno delle ristrutturazioni dei prestiti».

Lei è in contatto anche con il governo e le banche italiane?
«Certo, lavoriamo con tutti questi interlocutori».

Ed è soddisfatto dei messaggi che le arrivano?
«Be', sono preoccupato per la situazione in Europa centro- orientale, ma abbiamo un utile dialogo».

In America, lo scandalo dei bonus di Aig e gli attacchi al segretario al Tesoro Tim Geithner stanno complicando il salva taggio delle grandi istituzioni finanziarie?
«Il Congresso ha già stanziato 750 miliardi con il piano Paulson e altri 780 per lo stimolo di bilancio. Ormai è difficile chiedergli altri soldi per qualunque cosa, figurarsi per le banche. La furia per i bonus è il sintomo di quella generale verso Wall Street e i banchieri. Eppure so che è brutto, ma il sistema finanziario va assolutamente ripulito degli attivi tossici».

Il piano di rilancio dell'economia già approvato non basta?
«Senza risanamento delle banche, è come un'iniezione di zucchero nel sangue. Per un po' spinge il sistema ma se il credito resta congelato, perdi l'effetto moltiplicatore. Il sistema finanziario è il sangue di un'economia moderna e finché non riesci a farlo circolare non c'è vita».

Dunque fa bene l'Italia a limitare la spesa a sostegno della domanda, perché non è così importante?
«Se il debito pubblico è elevato, allargare molto la spesa può essere controproducente. La mia impressione è che l'Italia abbia un pacchetto ragionevole, modesto. Ma per tutti i Paesi, vedremo solo dopo se è abbastanza e se occorrerà continuare nel 2010».

L'Italia ha stralciato 350 milioni di aiuti allo sviluppo sul bilancio 2009, proprio mentre lei chiede di riservare lo 0,7% dei piani di rilancio nazionali a questo. Cosa si aspetta dalla presidenza italiana del G8?
«Insieme al resto del G20, l'Italia ha concordato di mantenere gli impegni. Capisco che sia sotto pressione, come tutti i Paesi avanzati. Ma gli italiani con cui parlo nella preparazione del G8 della Maddalena hanno mostrato molto interesse in vari progetti sull'Africa, sull'acqua e su altri fronti. E certi programmi assecondano anche gli interessi dei donatori: per esempio l'Italia lavora molto sulla sanità internazionale, con il progetto sui vaccini di cui parlo spesso con il ministro Giulio Tremonti».

Federico Fubini
Tratto da: Il Corriere della Sera 22 marzo 2009


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