Circolo Partito Democratico - Capistrello (Aq)

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lunedì 5 ottobre 2009

Intervento del segretario circolo PD Capistrello alla riunione convenzione provinciale PD


Da qualche tempo mi sforzo di capire le ragioni profonde che ci spingono a stare in un partito come il nostro, dove la militanza viene sempre più vissuta come affermazione della propria identità politica, caratterizzata evidentemente dalla propria matrice di provenienza.

La questione dell’identità è importante, perché essa serve a definire noi stessi rispetto al mondo e ci fornisce gli strumenti per interpretare la realtà circostante.

Ci permette di sviluppare gli anticorpi per crescere e fortificarci, per essere più solidi e resistenti.

L’identità non deve, né può essere una clava da brandire contro chi non ci è affine solo perché cresciuto sulla base di valori diversi.

Non è forse la diversità che ci caratterizza come democratici?

Non è forse la capacità di accogliere l’altro che caratterizza il nostro essere democratici?

Non è forse, l’immenso valore del confronto tra diversi che ci fa maturare e crescere come democratici?

Vedete, per me, l’identità politica, non può essere qualcosa da registrare agli atti o da enunciare all’occorrenza in occasioni come questa.

L’identità politica deve essere traduzione visibile nell’agire quotidiano con atti concreti attraverso scelte chiare, responsabili e rispettose delle differenti declinazioni culturali che necessariamente caratterizzano i grandi partiti come il nostro.

Non a caso evidenzio valori universali quali il rispetto e la responsabilità, valori sempre più marginali rispetto all’agire di una politica, sempre più avvitata verso un decadente nichilismo barbarico, in discesa folle verso un autismo politico in cui ogni genere di relazione interpersonale è compromessa ed inquinata dal personalismo e da una sorta di sindrome di Dio che attanaglia molti nostri rappresentanti politici.

Il rispetto non è ossequio, deferenza, riverenza; ma al contrario è attenzione, riguardo, considerazione per le persone, le istituzioni e le cose.

Mi viene in mente la frase di un grande come Don Milani … “I care”, … mi riguarda.

Il rispetto è la prima categoria d’ogni forma educativa che non può essere insegnata, ma che si apprende con l’esempio, la prassi, l’imitazione e l’identificazione.

E’ semplicemente buona educazione.

Il rispetto dipende essenzialmente da ciò che ognuno di noi ha ricevuto dagli altri.

Se tu sei stato rispettato nella tua entità di persona, tu rispetterai le persone ma anche le Istituzioni e le cose.

Se hai ricevuto rispetto nelle forme giuste, riesci a darlo correttamente, al contrario, lo impari solo come una lezione scolastica, che non è la stessa cosa perché rimane un apprendimento razionale troppo lontano dal vissuto emotivo.

Responsabilità è la capacità di rispondere prima di tutto a se stessi e alla propria coscienza, poi agli altri, a chi ci da fiducia, a chi scommette su di noi.

E’ farsi carico delle scelte, è provare a cercare una strada da indicare a chi crede in noi per poi, percorrerla assieme.

Rispetto e Responsabilità sono in stretto rapporto con la verità, con la lealtà, la coerenza e la trasparenza.

In tutto ciò che si trova, tra lo scetticismo di chi non crede più a niente ed il dogmatismo di chi invece ha sempre le certezze in tasca, preferisco il dubbio alimentato dalla curiosità di sapere come andrà a finire.

In fondo, possiamo solo avvicinarci alla verità attraverso le parole che indicano cosa la verità non è, senza dimenticarci, che le parole hanno sempre il volto di chi le pronuncia.

Ecco allora che, il dire non seguito dal fare, o peggio ancora, il dire seguito da un fare opposto al dire, produce almeno due affetti negativi: squalifica chi dimostra incoerenza, ma, soprattutto squalifica il concetto, magari giustissimo, che è stato enunciato.

Occorre fermezza nei principi, quella fermezza che si manifesta col rispetto delle regole, differentemente dall’ottusa puntigliosità del presidio di posizioni “contro” qualcosa o qualcuno, che, esprimono al massimo, solo un distruttivo e inconcludente risentimento.

Al rispetto delle regole segue la condivisione di un percorso o di una modalità di approccio ai molteplici temi di cui la politica può e deve farsi carico.

Poi, si può lavorare insieme per il piacere di farlo, oppure solo per opportunismo, non vedo contraddizione in ciò, perché tutto in politica, si può riconnettere in relazione alla visione che ognuno ha dell’altro.

Corre però l’obbligo del rispetto dei ruoli, riconoscersi ognuno nell’altro, per collaborare ad un fine più alto delle proprie legittime aspettative ma sempre nel massimo rispetto dell’altro, non più, un nemico da abbattere ma componente in gioco nella stessa partita dentro la stessa squadra.

Dico questo, perché dobbiamo riconoscere tutti, che nei recenti congressi ci siamo dilaniati tra noi e a tal proposito, vorrei citare un’osservazione che un mio amico sindacalista faceva qualche giorno fa, ed è la seguente:

“ a volte mi sembra che certi nostri dirigenti politici, somiglino, nei comportamenti a quei ragazzini capricciosi che portavano il pallone nelle partitelle che si facevano all’oratorio, e se capitava che perdevano, si riprendevano il pallone, se ne tornavano a casa e non facevano giocare più nessuno.”

Se si accetta liberamente di far parte di una comunità se ne accolgono le regole dando ognuno il proprio contributo alla crescita di un sentire comune nell’ambito delle sedi deputate al confronto.

Quando le cose non vanno secondo le proprie aspettative si hanno due possibili modalità di reazione:

1) mettersi in discussione per adeguare il proprio comportamento in funzione di ciò che si è rivelato sbagliato

2) oppure polemizzare con tutto e tutti, attribuendo responsabilità e colpe solo agli altri.

Io preferisco la prima opzione perché rappresenta i termini più efficaci per reagire alla novità, ovvero percepire la stessa come opportunità di miglioramento, come occasione di crescita e non come difficoltà da eludere o peggio da nascondere.

In tal senso, credo, vada rimodulato il rapporto che la politica, una certa politica, ha con il potere.

Il “potere”, deve essere e rimanere semplice strumento e mai fine della politica.

Non può, il potere, essere percepito come possesso o dominio degli altri perché se si dice di voler stare dalla parte dell’uguaglianza ed essere credibilmente alternativi allo stile dominante occorre un profondo cambiamento nel modo di gestire il potere e di certo non basta sostituire una classe dirigente con un’altra all’insegna del “vattene tu, che mi ci metto io”.

Esercitare il potere è un atto di profonda responsabilità e di enorme umiltà perché deve essere prima di tutto servizio alla collettività.

Offrire tempo ed energie a questo forte impegno che è la politica militante per molte persone, e per fortuna nel Pd ce ne sono tante, vuol dire organizzarsi al meglio per evitare di incidere negativamente sulla propria professione e sulla propria famiglia, non sempre vi si riesce.

Non sovrapporre la professione ed il lavoro con la politica significa salvaguardare la propria indipendenza come fattore primario per esprimere libertà di scelta, libertà di agire, libertà di parlare e anche libertà di contrapporsi senza infingimenti con la pretesa sacrosanta di confrontarsi, con interlocutori credibili e altrettanto liberi perché abbiamo tutti l’obbligo, oggi, di pretendere una politica alta e realmente al servizio della collettività.

La dove il lavoro o la professione, si mescolano alla politica, si indebolisce il pensiero sminuendone il senso, si generano schiavi sempre proni al giogo della cattiva politica.

Dalla fondazione del PD ci siamo tutti impegnati e battuti affinché questo partito fosse percepito dalla gente come luogo di partecipazione aperto a tutti, ed è proprio per questo motivo che non possiamo esimerci dal rappresentare le nostre istanze e le nostre idee se non attraverso ciò che è la buona politica, che a grande fatica ci sforziamo di diffondere per rendere un servizio alla società, ma anche per rendere noi stessi migliori di quando abbiamo iniziato quest’avventura nel Partito democratico.



Alfio Di Battista

Avezzano 04.10.2009


1 commento:

dbd67 ha detto...

Condivido e complimenti per l'intervento.
Tuttavia a mio avviso ogni occasione di vita "politica" dovrebbe essere utilizzata anche per ricordare (con rammarico) che siamo governati attraverso l'enorme imbroglio dell'attuale legge elettorale, voluta da tutti compresi gli extraparlamentari, che rappresenta qualcosa di gran lunga più grave del conflitto di interessi.
Non ci si può quindi sorprendere se è sempre più dilagante il non rispetto delle istituzioni; perchè non sono stato rispettato!!!
Pretendere una politica alta non significa forse pretendere di scegliere i propri rappresentanti?
Non può esistere un partito percepito come luogo di partecipazione se poi chi Vi partecipa non è chiamato ad esprimersi quando si tratta di scegliere chi mandare al Parlamento.
dino